Depressione maggiore: terapia cognitivo-comportamentale e antidepressivi

La terapia cognitivo comportamentale ha la stessa efficacia della terapia farmacologica con antidepressivi di seconda generazione, e la maggior parte degli altri trattamenti per i pazienti ambulatoriali adulti con lieve o grave disturbo depressivo maggiore.

Questo quanto emerge da una revisione sistematica con metanalisi, condotta sui risultati di 45 studi clinici da Gerald Gartlehner e colleghi, della Danube University (Krems, Austria), che hanno confrontato i benefici e i rischi degli antidepressivi, dei trattamenti complementari e della psicoterapia, per il trattamento della depressione maggiore, senza trovare una differenza statistica in efficacia dei trattamenti.

Così l’American College of Physicians (ACP) raccomanda ai medici di considerare l’opzione tra la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e gli antidepressivi di seconda generazione (SGA) per i pazienti con disturbo depressivo maggiore.

“L’evidenza attuale mostra che sia la terapia cognitivo-comportamentale che l’uso di antidepressivi di seconda generazione hanno un’efficacia simile, ma i pazienti in terapia con questi ultimi sono suscettibili a maggiori effetti collaterali – ha osservato Amir Qaseem dell’American College of Physicians di Philadelphia -.

“Nella depressione maggiore gli antidepressivi sono solitamente prescritti come trattamento iniziale del disturbo, tuttavia la terapia cognitivo-comportamentale dovrebbe essere fortemente considerata come trattamento alternativo. Il problema è che la CBT potrebbe non essere disponibile in tutto il mondo”.

Gartlehner ha dichiarato in proposito:

“È importante dare ai pazienti una scelta alternativa alle loro preferenze. I trattamenti psicologici richiedono un maggiore coinvolgimento del paziente, cosicché alcuni pazienti preferiscono gli antidepressivi, altri non gradiscono gli effetti collaterali degli antidepressivi e saranno più favorevoli ai trattamenti psicologici. I medici devono discutere i pro e i contro di entrambe le opzioni terapeutiche con i loro pazienti e quindi cercare di prendere una decisione condivisa”.

Fonte: Annals of international medicine online, 9 Febbraio 2016

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