Quelle sensazioni senza nome…

Tiffany Watt Smith, una psicologa ricercatrice del Centre for the History of the Emotions alla Queen Mary University di Londra, nel libro The Book of Human Emotions, ha raccolto 154 parole provenienti da tutto il mondo, che raccontano di sensazioni ed emozioni peculiari, che nella cultura occidentale sono senza nome.

Un’enciclopedia di emozioni, ponderata e divertente, vasta ma anche particolarmente specifica e accurata, spazia nella storia e in tutto il mondo. Riesce a intrecciare il rigore del pensiero scientifico, con una vena filosofica e letteraria; è un passo contrario rispetto al tentativo di ridurre la meravigliosa complessità del nostro mondo interno in un pugno di emozioni, le così dette emozioni cardinali.

L’autrice sostiene l’importanza di arricchire il nostro vocabolario emotivo, avere più parole per poter descrivere quello che proviamo e per poterlo condividere. Sottolinea l’importanza del dare un nome a quello che proviamo per affrontarlo, soprattutto per quanto riguarda le emozioni dolorose o spiacevoli. È molto affascinante la stretta interconnessione che ritroviamo tra sensazione e linguaggio; la necessità di definire anche le sensazioni più vaghe con la precisione di una parola.

Amae: un termine giapponese per descrivere quando sentiamo la necessità di tornare bambini e di farci viziare e coccolare da qualcuno, il desiderio di lasciarci andare tra le sue braccia e di dipendere da altri.

Awumbuk: dall’Oceania, un’espressione che si usa in Nuova Guinea, per descrivere quel senso di vuoto, quel sentore di tristezza che proviamo quando i nostri ospiti vanno via, svuotando improvvisamente l’ambiente.

Ilinx: capita quando abbiamo davanti un oggetto fragile e bellissimo, e improvvisamente ci viene voglia, inspiegabilmente, di farlo in mille pezzi.

L’appel du vide: aspettiamo il treno e di colpo pensiamo: “E se mi buttassi sotto?” Letteralmente è “il richiamo del nulla”; una specie di forza attrattiva che ci vuole spingere verso il basso.

Malu: quando davanti a una persona “superiore” come il nostro capo, ci sentiamo improvvisamente piccoli, quella sensazione di frustrazione nel momento in cui ci blocchiamo e sentiamo la testa vuota.

Matutolypea: quella sensazione che abbiamo nell’attimo del risveglio, in quei giorni di cattivo umore, quando diciamo “mi sono alzato con il piede storto”.

Pronoia: è quella sensazione positiva e avvolgente di quando pensiamo che ci sia qualcosa nell’universo che ci protegge e fa andare tutto per il verso giusto; è un termine greco di derivazione antica, indicava il fato divino che governa il mondo preservandone l’ordine.

Torschlusspanik: la sensazione che il mondo giri vorticosamente, e che noi non gli stiamo dietro, non siamo in tempo. È una parola tedesca, coniata nel medioevo per descrivere la preoccupazione nel vedere l’esercito nemico avvicinarsi troppo rapidamente rispetto alle possibilità di difesa e contrattacco.

Leggi la news pubblicata su The Guardian

 

Photo credit: Sara Alfred via Foter.com / CC BY
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