«Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione.» – Franco Basaglia

Negli ultimi cinquant’anni la storia della psichiatria ha subito una svolta radicale, soprattutto a partire dalla notissima Legge Basaglia – legge numero 180 del 13 maggio 1978 e poi 833 del SSN – quando l’istituzione manicomiale volge al suo termine. A differenza da allora, quando i pazienti psichiatrici finivano per trascorrere la loro intera vita all’interno dei manicomi, oggi un ricovero psichiatrico in SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) non si prolunga in genere per più di una-due settimane.

Quando parliamo di terapia e cura delle patologie psichiatriche, non ci possiamo però riferire solo alla remissione sintomatologica, dobbiamo tenere in conto della salute della persona nel suo insieme, considerando il termine salute nella sua accezione più ampia e complessa. Nonostante i notevoli passi avanti, ancora oggi la prognosi dei pazienti psichiatrici è mediamente negativa, la qualità della vita e il funzionamento globale della persona tendono a peggiorare.

Si tratta certamente di un tema molto delicato e difficile da affrontare ma assolutamente fondamentale.

La Salute

Quando si parla di salute ci si riferisce comunemente alla salute fisica, quando diciamo che una persona “gode di ottima salute” stiamo dicendo che si ammala di rado, ci stiamo riferendo alle malattie somatiche e metaboliche. Considerando questa prima accezione del termine salute, l’importanza della patologia organica risulta evidente anche nella cura del paziente psichiatrico: alcuni studi hanno dimostrato che le sindromi metaboliche aumentano a partire dal primo episodio psichiatrico, fino ad arrivare oltre il 40% dopo vent’anni. Inoltre nella popolazione psichiatrica è in crescita il tasso di mortalità per comorbilità somatiche importanti o non naturali, come il suicidio.

Se proviamo a cercare la parola salute sul vocabolario troviamo definizioni quali: stato di benessere fisico e di armonico equilibrio psichico dell’organismo umano, in quanto esente da malattie, da imperfezioni e disturbi organici o funzionali (Treccani). Salute mentale e salute fisica sono due aspetti importanti nella vita di ogni individuo e sono assolutamente interdipendenti: non c’è salute mentale senza salute fisica e viceversa. Nei passati vent’anni un evidente supporto scientifico dal campo della medicina comportamentista ha dimostrato la connessione fondamentale tra salute mentale e fisica e anche tra malattia mentale e fisica. L’importanza della salute mentale è stata recentemente sempre più riconosciuta, finché nel 2015 anche questo tema entra nell’agenda dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) insieme alle patologie organiche più importanti e diffuse (malattie cardiovascolari, diabete, cancro, etc.).

In realtà la definizione che nel 1948 l’OMS dà, in riferimento al termine salute, è un po’ più articolata: “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità.” Siamo all’interno di una prospettiva biopsicosociale: il benessere di un individuo dipende da fattori biologici ma anche psicologici e non in ultimo sociali; viene superata la visione riduttiva del concetto di salute come assenza di malattia. Interessante considerare anche la definizione che Wylie dà di salute: “l’adattamento perfetto e continuo di un organismo al suo ambiente”. Il concetto di adattamento, introdotto da Wylie, sottolinea una caratteristica fondamentale della salute, che risulta essere una condizione dinamica di equilibrio, basata sulla capacità del soggetto di interagire con l’ambiente esterno, adattandosi per l’appunto, nonostante il continuo modificarsi della realtà che lo circonda.

La qualità della vita

Il concetto di qualità della vita è strettamente legato a quello di malattia/malessere e salute/benessere. Possiamo considerare questo concetto da due prospettive: quella oggettiva, basandoci su indicatori riguardanti le condizioni ambientali, sociali e lavorative, e quella soggettiva, considerando invece l’esperienza personale delle condizioni di vita dell’individuo. In realtà questi due aspetti s’integrano come due facce della stessa medaglia e risulta quindi fondamentale considerarli entrambe.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la qualità della vita come: “la percezione dell’individuo della propria posizione nella vita all’interno del contesto della cultura e dei valori in cui vive, in relazione ai propri scopi, aspettative, standard e interessi”. Ne deriva un’idea di costrutto soggettivo – ossia che deve essere valutato, in linea di principio, dal paziente stesso –, multidimensionale e dinamico – ovvero che può variare nel tempo in base a diversi fattori – e infine culturalmente correlato.

Gli studi effettuati nell’ambito della valutazione della qualità della vita dei pazienti con disturbi psichiatrici hanno messo in evidenza due aspetti fondamentali: le distorsioni legate alla psicopatologia e la discordanza che può sussistere tra la percezione del paziente e quella del clinico. Per quanto concerne il primo punto i fattori rilevanti che devono essere considerati quando si voglia valutare la percezione soggettiva della qualità di vita del paziente sono: lo stato affettivo – come nel caso di pazienti con un disturbo depressivo che li porta ad avere una visione tendenzialmente negativa e pessimistica della realtà che li circonda –, lo stato cognitivo – basti pensare ai pazienti con ritardo mentale – e l’esame di realtà – ci riferiamo in questo caso a pazienti con disturbi dello spettro psicotico che presentano alterazioni nella percezione del mondo esterno –.

Un ulteriore e ultimo elemento di fondamentale importanza, in relazione alla percezione soggettiva della qualità di vita, è il raggiungimento della consapevolezza di malattia; se da un lato questo è un fattore fondamentale per assicurare una buona compliance alle cure, dall’altro bisogna considerare l’effetto che avrà dal punto di vista psicologico sul paziente. La consapevolezza di una condizione psicopatologica ha conseguenze sul piano emotivo e cognitivo in termini di immagine di sé e autostima, ma anche sul piano relazionale: il contesto, sia micro che macro sociale, impone spesso un confronto molto impegnativo per il paziente.

Emerge con sempre crescente chiarezza la complessità della presa in carico del paziente psichiatrico: sono molti gli aspetti da considerare in funzione della messa a punto di un programma di terapia e riabilitazione che sia volto al miglioramento della salute e della qualità della vita per come li abbiamo delineati.

Se da un lato si stanno raggiungendo risultati ottimali attraverso terapie mirate, in grado di risolvere l’emergenza psicopatologica, dall’altro bisogna proseguire il percorso di cura mediante un approccio integrato e multidisciplinare. Una volta ottenuta una remissione parziale o, più di rado, totale della sintomatologia, il lavoro di un’equipe multidisciplinare che interviene nell’ambito della clinica psichiatrica dovrà avere come principale obiettivo il reinserimento sociale e lavorativo del paziente, considerando il livello di autonomia e indipendenza da questo raggiunto.

Riferimenti bibliografici

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