Psicofarmaci dietro le sbarre: l’annullamento della dignità umana

Nelle prigioni italiane esiste un problema sotterraneo: l’abuso di psicofarmaci. Dati ufficiali non esistono, perché la mancanza di cartelle cliniche informatizzate non permette, nel nostro Paese, di avere un quadro completo di quello che avviene nelle infermerie dei 206 istituti penitenziari. In carcere lo chiamano “il carrello della felicità”. Passa fra le celle tutte le sere distribuendo compresse colorate, gocce, flaconi e pillole. Farmaci che calmano l’ansia e procurano benessere chimico.

Secondo le associazioni a tutela dei carcerati (Osservatorio Antigone, Ristretti Orizzonti e Detenuto Ignoto) quasi il 50% delle persone dietro le sbarre (su un totale di 52.164 detenuti in base agli ultimi dati disponibili del Ministero della Giustizia) sarebbe sotto terapia da psicofarmaco. Mentre il 75% ricorrerebbe a quella che viene definita “terapia serale”: sedativi per dormire.

L’abuso di psicofarmaci sarebbe l’effetto diretto di un’altra falla ormai cronicizza all’interno delle nostre prigioni: la carenza di psicologi. In poche parole, in assenza di specialisti che dovrebbero curare lo stato mentale dei detenuti con un lavoro di psicoterapia, si fa uso di potenti medicinali. Tale problematica porta un risvolto non indifferente anche in termini di costi per il Sistema Sanitario Nazionale e con conseguenze spesso tragiche: solo nelle ultime settimane si sono registrate due sospette overdose da farmaci.

I numeri di chi assume abitualmente psicofarmaci, comunque, sono calcolati per difetto. Quando i sedativi non vengono somministrati legalmente molti detenuti riescono a procurarseli di contrabbando e li assumono in dosi raddoppiate per ottenere un effetto più potente, simile a quello dell’eroina. “In carcere esiste persino un borsino del baratto e può accadere che nei cortili durante l’ora d’aria mezza capsula di Subutex (la buprenorfina commercializzata in Italia con il nome Temgesic, Subutex, Suboxone e nelle formulazioni transdermiche con il nome Transtec. La buprenorfina viene utilizzata come analgesico e come farmaco per il trattamento delle dipendenze da oppiacei) sia ceduta per due pacchetti di sigarette, mentre il Rivotril o il Tranquirit (due benzodiazepine ansiolitiche) per cinque.

Non tutti i penitenziari, però, vivono questa realtà nera. Alcune regioni come Umbria e Sardegna si sono sforzate di migliorare la situazione carceraria attraverso dipartimenti di salute mentale con medici attivi 24 ore al giorno e gruppi sperimentali di psicoterapia, nelle carceri di Bollate e Rebibbia già da anni si pratica la “Mindfulness”, una pratica di meditazione molto diffusa anche all’estero. Un’altra soluzione pratica arriva dalle cooperative: il lavoro in carcere, in tali circostanze il “FARE” e il “mettere le mani in pasta” risulta essere un’ottima strategia per non impazzire….

 

 

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