Il suicidio: una possibile risposta alla prognosi infausta

Qualcuno avrà letto sui giornali del suicidio avvenuto qualche giorno fa a Milano: una donna di 37 anni si impicca a un albero dei giardinetti di Piazza Napoli. Il corpo ormai senza vita, viene ritrovato da alcuni passanti, nella borsetta vengono rinvenute prescrizioni per farmaci antitumorali, probabilmente lo stato di salute ha portato questa donna al gesto estremo.

Tutti noi possiamo immaginare la sofferenza e lo stravolgimento che la notizia di una malattia come il cancro può portare nella vita di un individuo; come ogni notizia infausta ha importantissime conseguenze dal punto di vista emotivo e psicologico. Anche dal punto di vista concreto le ricadute sono diverse e riguardano l’ambito lavorativo, familiare, sociale e più in generale la qualità della vita stessa.

I fattori di rischio maggiormente correlati con il suicidio in oncologia sono il dolore fisico cronico e la sintomatologia depressiva – informazioni e dati forniti dalla Società Italiana di Psico-Oncologia –. Il dolore rappresenta uno dei problemi principali nelle terapie oncologiche e ha una prevalenza molto elevata, si parla del 50-60% in tutte le fasi della malattia fino ad arrivare al 70-85% nelle fasi avanzate. La prevalenza dei disturbi depressivi varia tra il 6 e il 30% in base soprattutto alla fase della malattia e al contesto psicosociale in cui il malato si trova, ovvero il sostegno sociale e familiare che riceve. Per quanto riguarda i sintomi depressivi stiamo parlando di vissuti emotivi come anedonia, demoralizzazione, impotenza, senso d’inutilità, disperazione.

Diversi studi – Stockholm Department of Medical Epidemiology and Biostatistics e American Society of Clinical Oncology – hanno analizzato la prevalenza delle condotte suicidarie legate alla malattia oncologica e hanno riscontrato che il rischio, nei casi in cui il malato riceve la diagnosi in giovane età, cresce del 150%, soprattutto nel periodo immediatamente successivo alla scoperta di essere ammalato. Nel corso degli anni il rischio diminuisce, rimanendo però superiore a quello della popolazione generale anche diversi anni dopo la prima diagnosi.

Il sostegno psicologico come accompagnamento alla morte – psico-tanatologia o tanatologia psicologica – è sicuramente un elemento centrale per aiutare i malati e le loro famiglie ad affrontare situazioni complesse e per accompagnarle, soprattutto nei casi di prognosi infausta, aiutandole a dare un significato personale all’esperienza vissuta che consenta loro di diminuire la sofferenza legata all’esperienza stessa.

Leggi l’articolo di cronaca pubblicato su Il Fatto Quotidiano

 

Photo credit: Postsumptio via Foter.com / CC BY-NC-ND

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