Autostima e distorsioni cognitive

Una definizione concisa e condivisa in letteratura potrebbe essere la seguente: Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994).

L’autostima è un paradigma che può essere costruito giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.

L’autostima di una persona non si fonda esclusivamente su fattori interiori individuali, ma viene influenzata anche dai confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. Contribuiscono al processo di formazione dell’autostima due componenti: il sé reale e il sé ideale.

Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo.

Il sé ideale corrisponde a come l’individuo aspira a essere idealmente. L’autostima deriva perciò dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.

Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).

Un’alta autostima è il risultato di una ridotta differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzare i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità.

Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che appassiona loro o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e a impegnarsi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.

Al contrario, una bassa autostima può condurre a una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Ebbene ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:

Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente. Si tratta del cosiddetto ‘specchio sociale‘: mediante le opinioni comunicate da altri significativi, noi ci autodefiniamo.

Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.

Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955), il padre della Psicologia dei Costrutti Personali, per esempio considera ogni persona uno ‘scienziato’ che osserva, interpreta (i.e: attribuisce significati alle proprie esperienze) e predice ogni comportamento o evento, costruendo, tra l’altro, una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.

Talvolta le autoanalisi che contribuiscono  a definire l’autostima di una persona sono falsate dalle sue distorsioni cognitive, ovvero da pensieri che inficiano la considerazione di sé.

Sacco e Beck (1985) indicano una serie di distorsioni cognitive, che sono: Le inferenze cognitive, attraverso le quali gli individui maturano delle idee arbitrarie su se stessi senza l’avallo di dati reali e obiettivi.

  1. Le astrazioni selettive, per mezzo delle quali un piccolo particolare negativo viene estrapolato, divenendo emblematico e rappresentativo del proprio modo di essere
  2. Le sovrageneralizzazioni, per cui si è portati a generalizzare partendo, per esempio, da un singolo tratto di personalità che contraddistingue un individuo o da un singolo episodio esperienziale che lo ha visto protagonista
  3. La massimizzazione, che consente di implementare gli effetti negativi di una singola azione svolta
  4. La minimizzazione, la quale permette di rimpicciolire la portata positiva di qualche evento
  5. La personalizzazione, che autorizza a sentirsi colpevole per qualche evento negativo accaduto
  6. Il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature nell’ambito delle assunzioni di responsabilità, riconducendo l’analisi ai costrutti del tutto e niente (visione in bianco e nero).

Leggi l’articolo di riferimento su State of Mind

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