Il termine panico deriva dal nome del Dio Pan che era, nella mitologia greca, una divinità non olimpica, mezzo uomo e mezzo caprone. Nato dall’amore fra Ermes e la ninfa Penelope, venne abbandonato alla nascita dalla sua stessa madre che alla sola vista del figlio ne rimase terrorizzata a causa dell’aspetto terribile. Gli antichi attribuivano al Dio Pan quei rumori sinistri che sentivano durante la notte e dalla paura che esso causava deriva il modo di dire timor panico.

Oggigiorno la parola panico si usa per descrivere uno stato di terrore/paura improvvisa e incontrollata che confonde la ragione e porta a fare gesti inconsulti; infatti, diciamo “mi sono fatto prendere dal panico” cercando di spiegare un comportamento fuori dalla ragione.

Il panico nasce come risposta biologica istintiva che negli animali è sempre stata funzionale per affrontare quelle situazioni di pericolo estremo che richiedono un’attivazione a livello fisico per portare all’attacco o alla fuga. Per semplificare proviamo a immaginare una gazzella nella savana che si rende conto di essere nel mirino di una leonessa affamata, per sopravvivere questa gazzella avrà avuto bisogno di un sistema estremamente sensibile e rapido che non la faccia tanto “ragionare”, quanto più scappare, utilizzando tutte le energie che il suo corpo riesce a mettere in campo, in un lasso brevissimo di tempo. In passato anche noi esseri umani vivevamo in condizioni abbastanza simili a quelle di una gazzella nella savana, e anche per la nostra sopravvivenza è stato altamente utile questo “sistema di allarme”; oggi nei contesti di vita che siamo soliti incontrare questa attivazione fisica massiccia risulta sproporzionata e crea un grave disagio.

L’attacco di panico è caratterizzato da una reazione fisica e psichica molto forte dovuta a qualcosa che sperimentiamo come altamente pericoloso, nell’ambiente che ci circonda, ma anche nel nostro interno fisico e psichico; in genere si tratta di una condizione non realmente pericolosa, o non così pericolosa, ma solo percepita come tale. Il panico è una sensazione psico-fisica, abbiamo detto che coinvolge appunto sia il corpo sia la mente, che fa parte dell’asse dell’ansia, paura, angoscia, timore, terrore e di tutte quelle condizioni di allarme che denominiamo con nomi di emozioni apparentemente diverse. Lo stato d’allarme è quasi sempre generato da immagini mentali che attingono, mediante la memoria, a esperienze passate o che si proiettano nel futuro. Molto più raramente si assiste alla constatazione del pericolo, minaccia o rischio nella realtà del presente.

L’attacco di panico è caratterizzato dalla comparsa improvvisa di paura intensa e/o terrore  che raggiungono l’apice in pochi minuti, durante questo periodo si presentano diverse sensazioni quali: palpitazioni, sudorazione, tremore, dispnea (respiro corto e affannoso), dolore o fastidio al petto, nausea o disturbi addominali, sensazioni di sbandamento, instabilità, svenimento, testa leggera, parestesie, senso di torpore, formicolio, brividi, vampate di calore, vertigini, paura di morire o di perdere il controllo, nonché derealizzazione e depersonalizzazione.

La caratteristica peculiare soprattutto del primo attacco di panico è la sua manifestazione improvvisa, inaspettata, “a ciel sereno”; questo è uno dei motivi per cui questo provoca tanto spavento. Avviene, inoltre, senza una chiara relazione causa-effetto tra l’attacco e la situazione in cui si verifica, anche se può riconoscere dei fattori scatenanti, ed è in genere di breve durata, nel giro di 5, 10, 15 ‘ si risolve anche spontaneamente, a volte anche con strascichi importanti.

Una delle principali conseguenze degli attacchi di panico è la tendenza a evitare tutte le situazioni o i luoghi che vengono associati alla crisi emotiva e somatica esperita; le persone che soffrono di attacchi di panico mettono spesso in atto meccanismi di protezione e rassicurazione come per esempio: portare con sé medicinali, uscire sempre accompagnati da qualcuno che li possa soccorrere, fare dei percorsi che prevedono il passare vicino a farmacie, ospedali e altri presidi per un eventuale pronto soccorso, ecc. Questi comportamenti di evitamento, a lungo andare, diventano essi stessi fonte di un’altra importante complicanza che è l’insorgenza dell’agorafobia ossia di tutti quei luoghi o situazioni dove ci si può sentire in trappola e in cui sarebbe difficile ricevere i soccorsi. Tutto ciò determina aspetti molto limitanti per la vita della persona. Potranno emergere difficoltà in diversi ambiti: nei rapporti interpersonali e sociali, familiari, di coppia e di amicizia; si potrà arrivare a non riuscire a uscire per incontrare le persone, a prendere un aereo e molti altri mezzi di locomozione, frequentare luoghi affollati, andare al ristorante, e così via.

Per diagnosticare un disturbo di panico gli attacchi devono essere caratterizzati da paura o terrore vero e proprio accompagnati da almeno 4 sintomi fisici tra quelli sopra riportati. A voltegli stati di panico insorgono anche in maniera inaspettata (soprattutto i primi). Se si instaura il meccanismo di evitamento delle situazioni e dei contesti in cui si potrebbe manifestare un successivo attacco si correrà il concreto rischio di generare la condizione clinica definita agorafobia. Lo stato di malessere, soprattutto se ricorrente, diventa spesso una condizione che limita la vita della persona e può determinare una menomazione del funzionamento lavorativo, sociale, relazionale e personale.

È molto importante capire che i sintomi fisici che si provano durante l’attacco di panico, per quanto possano essere molto intensi e sgradevoli, sono solo l’espressione dello stato di allarme che si sta vivendo che può a tutti gli effetti richiamare la risposta biologica istintiva di un animale che si sente in grave pericolo. Non sono, dunque, pericolosi per la salute della persona: di attacco di panico non si muore, anche se la sensazione sperimentata può essere proprio questa. Già dopo il primo attacco di panico si diventa maggiormente consapevoli di questo aspetto perché appunto si sopravvive, si impara a riconoscere l’attacco e a conoscerne la qualità e le caratteristiche. Questa consapevolezza può favorire l’interruzione del circolo vizioso dell’ansia e portare in alcuni casi alla diminuzione spontanea dell’intensità e delle frequenza degli attacchi stessi. Negli altri casi tende a cronicizzare o comunque ad aggravarsi per cui val la pena di interromperli facendo un percorso psicoterapico di tipo cognitivo comportamentale abbinato perlopiù a idonea terapia psicofarmacologica non banalmente ansiolitica.

Photo credit: mrbill78636 via Foter.com / CC BY

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