Il 29 aprile 2016, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sono state discusse le tesine del Master di I livello in Interventi educativi e riabilitativi assistiti con gli animali IAA in presenza del Prof. Ascanio G. Vaccaro, della Prof.ssa Antonella Artuso e della Prof.ssa Maria Teresa Cairo, titolare del Master.

Pubblichiamo la tesi di Master di Alice Cerliani intitolata Progetto “cavalli in carcere”: dalla realtà attuale a un’ipotesi di implementazione.


 

UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE – MILANO

Facoltà di Scienze della Formazione

Master di I livello in Interventi educativi e riabilitativi assistiti con gli animali IAA

Senza-titolo-1

Progetto “cavalli in carcere”: dalla realtà attuale a un’ipotesi di implementazione

Relatore: Ch.mo Prof. Ascanio G. VACCARO

Tesi di Master di:
Alice Cerliani

Anno Accademico 2015/2016

INDICE

Introduzione
——1. La giustizia penale e l’ordinamento penitenziario
———1.1 La Casa di Reclusione di Bollate
————-1.1.1 La struttura
————-1.1.2 La popolazione carceraria
————-1.2.3 Le attività proposte
———1.2 La questione della salute all’interno del carcere
————-1.2.1 La psichiatria in carcere
————-1.2.2 Qualche dato sul disagio psichico negli istituti di pena
Esperienze, studi e progetti in carcere: una revisione della letteratura disponibile
——2. Il progetto e la realtà di “Cavalli in carcere”
———2.1 I detenuti che vi lavorano
———2.2 Le attività in scuderia
———2.3 Pregi e limiti di questa esperienza
———2.4 Ipotesi di implementazione del progetto
Conclusione
Bibliografia

INTRODUZIONE

L’idea di cimentarmi nell’ipotizzare un project work sulla riabilitazione equestre a conclusione di questo percorso di studio è frutto di varie esperienze e realtà conosciute durante il mio cammino.
Alla base di tutto c’è sicuramente la mia formazione universitaria, magistrale, come assistente sociale, che mi permette di guardare le realtà di cui vengo a conoscenza in ottica progettuale ed educativa-riabilitativa. Ma ha sicuramente contribuito l’esperienza di un anno come volontaria del Servizio Civile Nazionale, svolto presso un Centro Diurno per persone con disagio psichico all’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini di Milano, che mi ha permesso di conoscere più a fondo il mondo della psichiatria e le persone che ne fanno parte. Durante lo stesso anno la frequenza e la partecipazione al Master in Interventi Assistiti con gli Animali mi ha aperto le porte su un mondo di cui avevo sentito parlare ma che non conoscevo; e, infine, lo svolgimento del tirocinio formativo presso la scuderia gestita dall’Associazione Salto Oltre il Muro, all’interno del Carcere di Bollate, mi ha permesso di entrare in una realtà unica nel suo genere.
Spero, con questo lavoro, di riuscire a sintetizzare e far coesistere queste diverse esperienze che ho vissuto, scrivendo un progetto che potrebbe, un giorno, essere proposto e, magari, attuato.
Cercando materiale bibliografico e informativo sull’argomento, e in particolare sul disagio psichico in carcere, mi sono imbattuta in un bell’articolo di un Magistrato di sorveglianza di Milano, Maria Laura Fadda, che si chiede: “ha senso parlare di “diritto alla salute” in un contesto come quello carcerario che, per le sue caratteristiche intrinseche come segregazione, promiscuità, anafettività, toglie salute e produce malattia? E ancora, che cosa intende il legislatore quando menziona il concetto di “salute” [all’interno delle carceri]? La nozione scientifica e culturale oggi acquisita, individua nella salute una condizione di equilibrio tra mente e corpo per cui salute mentale e salute fisica sono intrinsecamente correlate. Tale acquisizione però non è stata recepita né nelle norme del codice penale e neppure compiutamente nell’ordinamento penitenziario, dove la salute fisica rimane ben diversamente presa in considerazione e disciplinata rispetto alla salute mentale”.1
Queste due domande sono state per me il filo conduttore di tutta la riflessione e l’impostazione del mio lavoro conclusivo che sarà così articolato: nel primo capitolo presenterò la realtà del Carcere di Reclusione di Bollate (Milano), con particolare attenzione alla questione della salute in carcere e, soprattutto, alla salute mentale, tralasciando l’analisi della situazione attuale degli (ex) Ospedali Psichiatrici Giudiziari, vicenda che costituirebbe un’analisi a sé. Dopo una breve revisione della letteratura sui progetti, gli studi e le esperienze sia in ambito della salute mentale in carcere che degli Interventi Assistiti con gli Animali nelle carceri, nel secondo capitolo presenterò la realtà dell’Associazione Salto Oltre il Muro e del progetto cavalli all’interno delle carceri, presentando anche i cavalli attualmente ospitati presso la scuderia.
Infine, cercherò di raccogliere tutti i dati e le informazioni a mia disposizione per cercare di abbozzare un progetto di Riabilitazione Equestre all’interno della Casa di reclusione di Bollate.

CAPITOLO 1 – La giustizia penale e l’ordinamento penitenziario

L’attuale sistema penitenziario italiano si basa, innanzitutto, sull’art. 27 della Costituzione Italiana, che recita: “la responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.”

Su questi principi base, si inseriscono la legge n. 354 del 26 luglio 1975, che costituisce l’Ordinamento Penitenziario, e il D.P.R. n. 431 del 29 aprile 1976, che ne è il Regolamento di esecuzione2.

L’ordinamento penitenziario italiano, fedele ai principi ispiratori della Costituzione e dei documenti per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, si articola e sviluppa su alcuni temi fondamentali:

  • l’espiazione della pena improntata ai criteri di umanità, salvaguardando la dignità e i diritti spettanti ad ogni persona;
  • la rieducazione del detenuto e il suo reinserimento sociale come scopo principale dell’espiazione della pena;
  • la prevenzione della criminalità.

Per questo, sono previsti dall’Ordinamento diversi istituti di pena, in base alla struttura e alle funzioni svolte, così classificati3:

a) Istituti di custodia preventiva, a loro volta suddivisi in Case mandamentali (custodia degli imputati a disposizione del pretore) e Case circondariali (custodia degli imputati a disposizione dell’autorità giudiziaria)

b) Istituti per l’esecuzione delle pene, suddivisi in Case di arresto (esecuzione della pena di arresto) e Case di reclusione (esecuzione della pena di reclusione)

c) Istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che si distinguono in colonie agricole, case di lavoro, case di cura e custodia e Ospedali psichiatrici giudiziari

d) Centri di osservazione, cui spetta l’osservazione della personalità dei condannati, al fine di rivelare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.

e) Istituti o sezioni per infermi e minorati che accolgono soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche.


Casa di Reclusione di Bollate

Il carcere situato a Bollate, al confine con Milano, si inserisce, nella classificazione degli istituti penitenziari, tra le Case di reclusione; quindi è una struttura creata ad hoc per ospitare detenuti ritenuti colpevoli di reato e che in questo luogo devono scontare la pena della reclusione.
La Casa di Reclusione di Bollate, inaugurata nel dicembre 2000, pur essendo luogo di esecuzione della pena, è conosciuta ai molti, compresa l’opinione pubblica, come “carcere modello”, principalmente per la sua organizzazione interna e la filosofia di base a tutte le attività. Infatti il carcere, fin dalla sua apertura, si è caratterizzato come istituto di media sicurezza o a custodia attenuata per detenuti comuni, secondo quanto previsto dall’art. 115 del dpr 230/2000 rispetto la distribuzione dei detenuti ed internati degli istituti4. Ciò significa che l’istituto fonda la sua attività, fin dall’apertura, su una sperimentazione che prevede di ospitare esclusivamente detenuti impegnati in attività lavorative o formative, che optino volontariamente per questa destinazione detentiva aderendo, al momento dell’ingresso, a un “patto trattamentale” che include un codice di comportamento e un impegno all’adesione ai programmi formativi5.
È grazie alla presenza di questi progetti avanzati di reinserimento dei detenuti che l’istituto di Bollate deve la sua fama di “carcere modello”: in questa struttura, dove le celle rimangono aperte tutto il giorno e i detenuti sono liberi di spostarsi, si svolgono attività formative e lavorative in numero decisamente superiore a quello della media delle altre carceri lombarde, in cui i detenuti possono mettere in campo abilità e competenze già in loro possesso o acquisirne e sperimentarne di nuove. Come si legge dal sito stesso dell’istituto: “ai detenuti si offrono ampi spazi di libertà ed un ampio ventaglio di opportunità trattamentali. Al contempo si chiede loro d’imparare a gestire in modo responsabile tali spazi, di essere protagonisti attivi della vita detentiva e non limitarsi a divenire meri destinatari delle azioni messe in campo dall’Amministrazione. È il cosiddetto Patto Trattamentale che, se da un lato obbliga la Direzione a garantire un’opportunità di reinserimento, dall’altro impone ai detenuti di sperimentarsi attivamente nei percorsi individuali avviando un processo di responsabilizzazione che gradualmente li porterà a reinserirsi nel contesto sociale esterno. In tale ottica la Direzione cerca di assumere una posizione dialogica con i detenuti ritenuta importante per rafforzare la credibilità e la fiducia nell’Istituzione Penitenziaria. […] Uno dei punti di forza è l’interazione con la comunità territoriale in tutte le sue forme [con] una forte ed ampia apertura al territorio il cui contributo è indispensabile per programmare efficaci interventi di reinserimento sociale. Al contempo, l’Istituto intende proporsi come risorsa per la collettività, come dimostrano i numerosi progetti che vedono coinvolti detenuti impegnati in lavori di pubblica utilità ai sensi dell’art 21 dell’Ordinamento Penitenziario”.6

Dal giugno 2011 il Direttore è il Dr. Massimo Parisi che si avvale del prezioso contributo del Direttore Aggiunto D.ssa Cosima Buccoliero e dal corpo della Polizia Penitenziaria per le funzioni di sorveglianza e sicurezza.

  • La struttura

La struttura edilizia dell’istituto è stata costruita adattandola alle esigenze del progetto sperimentale, con più edifici e palazzine e ampi spazi per le lavorazioni interne. La struttura è realizzata a blocchi autonomi, suddivisa in 8 reparti numerati da 1 a 6, 7A, 7B, 8. Tutti i reparti sono composti da aree comuni al piano terra e da 4 piani di aree detentive. Sono collegati tra loro da lunghi corridoi. Le celle totali sono 696, possono essere da 1, 2 o 4 posti e dispongono di bagno separato (con wc, bidet e lavabo), e antibagno con ripiano per cucinare e lavabo. Alcune celle (in base alla sezione in cui si trovano) sono dotate di docce calde e in ogni piano del 7° reparto è presente una cella per persone disabili, di dimensioni maggiori rispetto alle altre celle (circa 15 mq). Su ogni piano di ogni sezione, inoltre, è presente un’area di socialità e delle sale “hobby”, mentre altre aree di socialità sono tipicamente disponibili al piano terra di ogni edificio. Quattro reparti dispongono di sale musica, parzialmente insonorizzate e dotate di strumenti (donati da esterni o da detenuti a fine pena) e in alcune sezioni sono presenti alcune palestre. Ogni reparto dispone di biblioteca e cappella, e sono possibili attività religiose per Testimoni di Geova e musulmani, che possono disporre di un’area adibita a moschea in alcuni reparti. Sono presenti inoltre un teatro, dove i detenuti inscenano rappresentazioni teatrali aperte al pubblico7, cinque aule per le lezioni e i corsi di formazione e un’officina interna La struttura dispone di molti spazi comuni esterni, un campo da calcio in erba, due campi più piccoli, diversi campi da tennis, varie serre e aree coltivate ad orto, un vivaio di piante ornamentali (chiamata “Cascina Bollate”, i cui prodotti sono commercializzati da una cooperativa), la scuderia gestita dall’Associazione ASOM Salto Oltre il Muro. I detenuti ricevono le visite dei parenti in un’ampia area verde, appositamente attrezzata, oltre alle 6 stanze colloqui predisposte. La struttura è dotata di un’infermeria, dove vengono svolte tutte le attività sanitarie, di visita, controllo e ricovero, ma non è presente, né per il momento previsto all’interno del carcere, un reparto psichiatrico.

  • La popolazione carceraria

Il numero attuale dei detenuti (aggiornato al 31/03/2016)8 è di 1206, di cui 20 ergastolani e il 31.3% stranieri, per una capienza totale di 1242 detenuti. Tra questi sono presenti 90 detenute donne, ospitate nella sezione femminile. Rispetto la totalità della popolazione delle diciotto carceri lombarde, i detenuti di Bollate rappresentano il 19.6%, e solo il 2,25% se si considera il totale dei detenuti di tutte le carceri italiane9. Il tasso di occupazione della struttura è del 97,10%, ed è uno dei pochi istituti dove, attualmente, non è presente il problema del sovraffollamento, anche se quasi completamente occupato. I detenuti sono generalmente suddivisi nei reparti in base ai reati compiuti: il 1° e il 3° reparto sono destinati a detenuti generici; il 2° ospita detenuti con problemi di tossicodipendenza, mentre il 4° reparto è destinato al trattamento avanzato e ospita principalmente giovani adulti, molti dei quali studenti. Il 5° reparto è destinato ai pochi detenuti semiliberi ed ai molti in art. 2110; il 6° reparto (aperto nel 2007) ospita la sezione femminile, in cui 17 detenute in art. 2110. Il 7° reparto, realizzato nel 2009, è diviso in due aree separate ed ospita detenuti del circuito protetti (i cosiddetti “sex offenders” ed ex forze dell’ordine). L’8° reparto era originariamente destinato a detenuti in semilibertà, ma ad oggi non è utilizzato ed ospita un archivio per la conservazione di documenti sotto sequestro11.

  • Le aree di intervento

Le aree di intervento e di attività dell’Istituto sono cinque:

  1. Area della segreteria, amministrativa e contabile
  2. Area della sicurezza: è costituita dal corpo della Polizia Penitenziaria, posto alle dirette dipendenze del Ministero di Giustizia (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria). La legge n. 395 del dicembre 1990 ha aggiunto al corpo di Polizia, oltre ai tradizionali compiti di ordine e sicurezza, anche la partecipazione alle attività di osservazione e trattamento delle persone condannate, oltre che ai servizi di traduzione e piantonamento di detenuti ricoverati presso luoghi esterni di cura. Presso il Carcere di Bollate, è in vigore il principio della “vigilanza dinamica”, che segna il superamento della logica della sorveglianza di custodia a favore di una responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti all’interno della struttura.
  3. Area Educativa: è composta da sedici educatori (di cui uno è il responsabile), quattro esperti in psicologia e criminologia e un gruppo di assistenti sociali dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna). Gli educatori sono suddivisi per singoli reparti e seguono i percorsi di osservazione e trattamento dei detenuti. Sono presenti 6 giorni su 7 e coprono un turno di presenza giornaliera 08:00-21:00 e, su richiesta, possono ricevere familiare e legali dei detenuti, in caso di necessità e per confrontarsi sui loro percorsi. Le mansioni svolte12 hanno principalmente due obiettivi: migliorare la qualità della pena e migliorare l’efficacia della pena, in onore del finalismo rieducativo che la Costituzione attribuisce alla detenzione. Gli educatori sono presenti per accogliere il detenuto al momento dell’ingresso nella struttura, partecipano all’osservazione della personalità del detenuto e alla stesura, insieme all’équipe, del programma di trattamento (da sottoporre al Magistrato di Sorveglianza) e sono presenti durante il periodo di detenzione, supportando il detenuto nel suo percorso rieducativo.
  4. Area Sanitaria. All’interno della struttura lavorano circa diciannove medici di guardia, che assicurano la presenza del servizio di guardia medica h24 e svolgono la loro attività all’interno del locale Pronto Soccorso, e altri medici che svolgono la funzione di Medico di base all’interno dei reparti. Inoltre sono attivi a turno circa venti specialisti (radiologia, ecografia, cardiologia, dermatologia, oculistica, odontoiatria, infettivologia e psichiatria) e quattro psicologi. Tutta l’attività sanitaria si svolge con la collaborazione di personale infermieristico che copre turni lavorativi sulle 24h. L’Area Sanitaria si svolge all’interno del Blocco Infermeria, che dispone di 35 posti di degenza comune, l’Ambulatorio di Pronto Soccorso e gli Ambulatori Specialistici, anche se alcuni medici specialisti, che non necessitano di particolari strutture e/o attrezzature, visitano direttamente nei reparti. La maggior parte dei medici specialistici sono medici ospedalieri, e l’amministrazione ha avviato una collaborazione con l’Azienda Ospedaliera San Paolo di Milano per l’erogazione di visite e servizi specialistici non presenti all’interno. Parte del 7° reparto è destinato alla UTI – Unità di Trattamento Intensificato gestita dal dott. Giulini. In tale unità i detenuti per reati di tipo sessuale vengono sottoposti, su base volontaria, ad un trattamento avanzato multidisciplinare, che esclude l’approccio farmacologico e si basa principalmente su terapie psicologiche, individuali e di gruppo. Circa il 41% dei detenuti si dichiara tossicodipendente , il 15% alcooldipendente, seguiti dal SerT collegato13.
  5. Area Trattamentale: comprende tutte le attività previste dall’art. 15 dell’Ordinamento Penitenziario, e in particolare istruzione, lavoro, attività culturali/ricreative, contatti con il mondo esterno e la famiglia.
  • Il lavoro rappresenta il cavallo di battaglia dell’impostazione sperimentale del carcere di Bollate, che offre alle persone detenute possibilità di lavoro retribuito interno ed esterno. All’interno ci sono diverse realtà produttive che offrono possibilità lavorative per i detenuti, sia gestite dall’amministrazione penitenziaria (muratore, elettricista, giardiniere, magazziniere, cuciniere…) sia gestite da terzi14, ma un alto numero di loro sono ammessi al lavoro all’esterno, come previsto dall’art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario. L’inserimento lavorativo esterno di detenuti e detenute è possibile grazie a contatti con le singole aziende, a convenzioni (come, per esempio, quella con AMSA di Milano) e con borse lavoro erogate da Comune e Regione e gestite dal CELAV (Centro di Mediazione al Lavoro) e dalla Cooperativa AEI. I detenuti in articolo 21 sono circa 180, e le persone impiegate con lavoro interno sono 370 circa, per un totale di 550 persone detenute che lavorano (circa il 45% delle persone detenute).
  • L’istruzione: all’interno dell’Istituto sono attivi diversi corsi di studio per i diversi gradi di istruzione, a partire da corsi di alfabetizzazione, inglese e informatica, fino ad arrivare a corsi universitari (per le facoltà di agraria, economia-statistica, giurisprudenza, lettere, lingue, politico-sociologia, psicologia), con un totale di circa 300 iscritti.
  • La formazione professionale è organizzata secondo corsi annui di formazione al lavoro in diversi settori, finanziati dalla Regione Lombardia. Attualmente sono attivi il corso per idraulico, elettricista, giardiniere, e nei settori tessile, dell’edilizia, dell’estetica, della cucina e ristorazione.
  • Attività culturali, ricreative e sportive. All’interno dell’Istituto vengono proposte varie attività culturali/ricreative, discusse all’interno della Commissione Cultura (art. 27 OP), e di cui fanno parte l’educatore che stabilmente la presidia, volontari e persone detenute, i quali partecipano attivamente all’organizzazione della vita dell’istituto.
    Tra queste, le attività di rilevanza, che sono ormai presenti da alcuni anni, sono il laboratorio teatrale (cui partecipano circa 30 detenuti), la biblioteca (presente all’interno dell’area trattamentale) e le attività sportive, che tra calcio, tennis, rugby e pallavolo femminile coinvolgono circa 170 detenuti.
  • I progetti. Attualmente i progetti portati avanti all’interno dell’istituto, con l’aiuto della collaborazione degli educatori, sono progetti e interventi a sostegno della genitorialità, soprattutto organizzando e permettendo momenti di incontro tra genitori detenuti e figli minori, e un progetto gestito dall’Associazione Articolo 21 che si occupa delle attività di volontariato esterno svolte dai detenuti in art. 21, in cui prevale la volontà e il desiderio di riparare simbolicamente al danno arrecato alla società da parte delle persone detenute.Inoltre, in aggiunta alle attività più strutturate, bisogna ricordare la presenza costante e significativa di associazioni di volontariato che operano all’interno del carcere per migliorare la qualità della vita dei detenuti. Tra queste realtà si inserisce A.S.O.M. (Associazione Salto Oltre il Muro), che presenterò nel secondo capitolo.

La questione della salute all’interno del carcere

Come già anticipato nell’introduzione, la tutela della salute in carcere è una questione spinosa. Il regolamento penitenziario dedica alcuni articoli al tema della salute del detenuto15, che deve poter accedere alle cure all’interno dell’istituto (anche con la collaborazione di medici specialisti esterni) e, quando non possibile o non sufficiente, la possibilità di essere trasferito in luoghi di cura all’esterno. Già l’art. 11 della legge 354/7516 prevedeva la collaborazione dell’area sanitaria delle carceri con i servizi pubblici sanitari locali, nel 2008 poi, con un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri17 tutte le funzioni sanitarie, svolte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile, sono state trasferite al Servizio Sanitario Nazionale. Tale legge disciplina e ribadisce il ruolo indipendente del medico rispetto a chi ha funzioni di sicurezza, all’interno del sistema penitenziario. Inoltre affida al servizio sanitario l’obbligo di redigere un piano annuale per la prevenzione e il benessere psicofisico della popolazione detenuta e la raccolta dati statistici sul tema della sanità. L’obiettivo ultimo della legge è quello di migliorare la “presa in carico” sanitaria soprattutto nelle sedi penitenziarie di piccole e medie dimensioni, obiettivo in controtendenza alla concentrazione di detenuti con patologie presso le grandi sedi penitenziarie.
Le linee di intervento contenute nell’allegato A al Decreto del 2008 indicano espressamente che i presidi sanitari presenti in ogni istituto penitenziario debbono attuare i seguenti interventi, come del resto già previsto dall’Ordinamento Penitenziario:

  1. la valutazione medica e psicologica di tutti i nuovi ingressi, da effettuarsi, se necessario, in più momenti temporali e per congrui periodi di osservazione. I dati rilevati sono raccolti nella cartella clinica e tale valutazione è fatta dal medico di medicina generale del presidio, in collaborazione con lo psicologo e con il supporto degli accertamenti specialistici del caso;
  2. l’adozione di procedure di accoglienza che consentano di attenuare gli effetti potenzialmente traumatici della privazione della libertà e l’esecuzione degli interventi necessari a prevenire atti di autolesionismo.

All’atto d’ingresso nell’istituto quindi i soggetti sono sottoposti a visita medica generale (da effettuarsi non oltre il giorno successivo all’ingresso), allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche e per segnalare “l’eventuale insorgenza di stati di sofferenza psicofisica della persona”18. Insieme alla visita medica, all’ingresso si attiva anche il procedimento per l’osservazione della personalità, con il quale “un esperto dell’osservazione e trattamento effettua un colloquio […] per verificare se, ed eventualmente con quali cautele, il detenuto possa affrontare adeguatamente lo stato di restrizione. Il risultato di tali accertamenti è comunicato agli operatori incaricati per gli interventi opportuni […] Gli eventuali aspetti di rischio sono segnalati […] Se la persona ha problemi di tossicodipendenza, è segnalata anche al Servizio tossicodipendenze operante all’interno dell’istituto”19. Nell’arco di nove mesi circa il detenuto incontra l’educatore, l’assistente sociale, l’esperto psicologo (se necessario) e il caporeparto, è soggetto a “osservazioni partecipanti” (durante attività, colloqui con i familiari, vita di reparto) che permettono la stesura della relazione di sintesi, documento che riporta l’osservazione della personalità del detenuto. Tale osservazione della personalità “è diretta all’accertamento dei bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali, […] e alla loro valutazione con riferimento al modo in cui il soggetto ha vissuto le sue esperienze e alla sua attuale disponibilità ad usufruire degli interventi del trattamento. […] L’osservazione è specificamente rivolta, con la collaborazione del condannato o dell’internato, a desumere elementi per la formulazione del programma individualizzato di trattamento[…] Quando si ravvisa la necessità di procedere a particolari approfondimenti, i soggetti da osservare sono assegnati, ai centri di osservazione”20.
È importante però osservare che, in questo caso come in altri, la procedura è tanto bella nella teoria e nella disciplina, quanto difficile da attuare nella pratica, in primis su tutto è forte, nella valutazione globale della personalità, la difficoltà di raccogliere l’anamnesi del detenuto, soprattutto in casi di disagio e disattenzione verso le proprie problematiche sanitarie o nel caso di detenuti stranieri non seguiti dal servizio sanitario del paese di origine.
Questo è un elemento di particolare rilevanza e da tenere in considerazione soprattutto perché secondo il nostro ordinamento, la malattia, se grave, può condizionare l’esecuzione della pena, La legislazione italiana, infatti, prevede la possibilità di scarcerare il condannato affetto da una malattia così grave da non rispondere più ai trattamenti sanitari disponibili, oppure affetto da una grave infermità fisica21. Contenere in carcere persone nei cui confronti le cure mediche sono inutili perché in uno stadio troppo avanzato della malattia o afflitti da patologie così gravi da non sentire più neppure l’effetto rieducativo della pena è considerato un trattamento contrario al senso di umanità ed è previsto il differimento obbligatorio e facoltativo dell’esecuzione della pena22. Tali norme, sono applicate quando si verifica una malattia che colpisca l’integrità del corpo fisico (il legislatore utilizza la formula della “grave infermità fisica“), ma non sono previste nel caso di malattia mentale o disagio psichico, ribadendo e alimentando una dicotomia tra due concetti in realtà inscindibili.
Inoltre, nella realtà penitenziaria, la disciplina della salute mentale è resa ancora più complessa e confusionaria dalla presenza degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari.
Queste istituzioni, di vecchio retaggio che dovrebbero oggi già essere chiusi, costituiscono la più grande testimonianza di quanto lavoro ancora ci sia da svolgere nell’ambito del disagio psichico.

  • La psichiatria in carcere

Per quanto riguarda la salute mentale già il Decreto Legislativo. 230/9923 sul riordino della medicina penitenziaria prevedeva il coinvolgimento dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) negli istituti di pena. In più, con il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2008, viene aggiunta una sezione relativa alla “prevenzione, cura e riabilitazione nel campo della salute mentale”, in cui, tra le azioni da compiere, sono espressamente indicate:

  1. l’attivazione di interventi di individuazione precoce dei disturbi mentali
  2. l’attivazione di specifici programmi mirati alla riduzione dei rischi di suicidio,
  3. la cooperazione tra l’area sanitaria e l’area trattamentale, in modo che gli obiettivi trattamentali si possano coniugare con quelli a tutela e promozione della salute mentale, attraverso gli interventi più adeguati. Tale prassi deve essere attuata già al primo ingresso, tramite il servizio nuovi giunti e perseguita per tutto il periodo di permanenza nell’istituto di pena: per tale scopo vanno definiti protocolli e modalità di collaborazione tra gli operatori dei servizi di salute mentale e gli operatori del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Tali indicazioni sono rivolte all’implementazione della presa in carico del disturbo mentale in tutti gli istituti penitenziari, in cui, con le riforme della normativa, è prevista la presenza di uno psichiatra e di un servizio psichiatrico.
Al tema della salute mentale negli istituti di pena è collegato il tema del suicidio, realtà che in carcere deve essere considerata molto attentamente. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha infatti affermato che tutti i detenuti sono da considerarsi soggetti a rischio per cui si rende necessario elaborare un piano di azione per la prevenzione dei suicidi in carcere24.
In particolare, sia nell’ambito della prevenzione dei suicidi, sia in quello della salute mentale, è necessario dedicare particolare attenzione all’ingresso dei cosiddetti “nuovi giunti”, nella consapevolezza che il passaggio dalla libertà al regime detentivo rappresenta un momento di particolare difficoltà per i detenuti e gli internati, soprattutto se alla prima esperienza di privazione della libertà. L’ingresso e la permanenza in carcere, lo sviluppo delle vicende giudiziarie, l’allontanamento dalla famiglia possono alterare la salute psichica dell’individuo che spesso è spinto a superare la “soglia di resistenza” alle difficoltà personali e ambientali.
Infatti, il primo momento di ingresso in carcere di soggetti con problematiche psichiche varie, è stato individuato da tempo come quello più critico, in quanto è in quel periodo (dai primi giorni della detenzione fino a circa tre mesi) che si verificano più frequentemente gesti di autolesionismo o di suicidio, che risultano amplificati nei casi di soggetti tossicodipendenti o alcoldipendenti.
Inoltre, all’interno di questa situazione già di per sé problematica, non bisogna dimenticare la presenza di detenuti stranieri, anche loro spesso vittime di disagio e di sofferenza psichica, popolazione per cui si registra un incidenza maggiore di disturbi psichici nella misura in cui la separazione e la partenza dal loro paese e dalla loro famiglia, il viaggio, l’arrivo, quasi sempre in clandestinità, insieme alla condizione di privazione della libertà, creano situazioni di grande dolore e disagio, aumentando la vulnerabilità psichica. Infatti gli aspetti di sofferenza, di disadattamento, di deprivazione sociale e psicologica e di emarginazione, caratteristici di una persona che lascia il proprio paese si amplificano all’interno del carcere, e, alla sofferenza connessa al disagio della migrazione, si aggiungono le problematiche stesse della detenzione.
Inoltre, benché l’ingresso in carcere sia senz’altro un’esperienza traumatica, non sempre le manifestazioni di disagio psichico sono causate dalle condizioni della detenzione, ma possono essere la continuazione o la manifestazione di disturbi già prima esistenti, che si acutizzano all’interno del carcere.
Per tutti questi motivi è importante che, fin dal momento dell’ingresso, il carcere non gisca da solo ma operi in rete con le altre istituzioni del territorio (dipartimento salute mentale, province, comuni, volontariato) per fornire assistenza e aiuto per accompagnare i detenuti nel loro percorso e prevenire il più possibile le situazioni di grave disagio. Inoltre, il collegamento con le realtà territoriali esterne, offre un aiuto non solo alle persone detenute, ma anche agli stessi psichiatri che si trovano a lavorare all’interno del carcere. Infatti, sebbene l’art. 11 dell’ordinamento penitenziario prevede la presenza di uno psichiatra per ciascun carcere, la presenza stessa e il ruolo terapeutico che svolge apre delle questioni di tipo etico-professionali: con chi lo psichiatra in carcere stabilisce il patto terapeutico? Con il condannato o con la struttura penitenziaria? È possibile stabilire quell’alleanza terapeutica così importante per la cura di questi disturbi? Lo psichiatra in carcere, infatti, non è chiamato soltanto ad intervenire terapeuticamente di fronte a tutte le manifestazioni sintomatiche del disagio psichico, ma, come già accennato, anche a partecipare come “esperto”, secondo l’articolo 80 dell’ordinamento penitenziario, all’attività di osservazione e trattamento, finalizzata al reinserimento delle misure alternative alla pena, compiendo delle osservazioni e delle valutazioni che deve poi comunicare all’équipe penitenziaria.
Inoltre, nella pratica, lo psichiatra fatica a svolgere il suo lavoro terapeutico, considerato che per ogni istituto è previsto un solo professionista per tutti i detenuti, per cui la sua attività si riduce spesso alla mera somministrazione di farmaci ai fini del contenimento. Da qui altre problematiche ancora, rispetto la dipendenza da farmaci che il carcere crea (e che spesso continua anche dopo la scarcerazione), fenomeno di rilievo per il quale mancano statistiche ufficiali. Spesso si assiste nella pratica ad una divisione dei compiti, in base alla quale lo psichiatra svolge le visite specialistiche e gli interventi di urgenza con la prescrizione degli psicofarmaci, segnalando invece allo psicologo la necessità di una relazione psicoterapica. Tutti questi fattori, strettamente connessi tra loro, rendono sempre più necessaria una connessione con i servizi territoriali esterni, non solo per la fondamentale funzione della cura della persona detenuta affetta da disagio psichico, ma anche per incominciare, a piccoli passi e nella zona “protetta” dei servizi, quel reinserimento sociale tanto importante per le persone detenute. Purtroppo ad oggi, per quanto riguarda la realtà carceraria milanese (Istituti di Milano S. Vittore, Opera e Bollate) non risulta un collegamento tra i servizi interni di assistenza al disagio psichico e quelli presenti sul territorio, anche se è comunemente riconosciuto che, proprio la presa in carico del servizio territoriale, quantomeno alla scarcerazione, costituisce importante fattore di contenimento del rischio di recidiva.
Un passo avanti è stato fatto con il progetto “Sulla soglia” gestito da una cooperativa milanese sin dal 2005 a favore dei detenuti con disagio psichico prossimi alla dimissione per fine pena. Tale progetto, riguarda sia la fase del trattamento interno dei malati psichici, prevedendo una presa in carico di sostegno psicologico e psichiatrico, sia la fase di prosecuzione all’esterno dopo il fine pena in rete con i servizi territoriali. Inoltre, presso il carcere di S. Vittore, è stato aperto un “centro diurno” cui partecipano detenuti anche con gravi problematiche psichiatriche e in cui vengono svolti laboratori creativi tematici con il supporto di operatori, esperti d’arte e professionisti dell’area sanitaria interna.
Non molto più intensa è la collaborazione che la psichiatria penitenziaria riesce ad instaurare con il Servizio Tossicodipendenze (SERT). L’attività svolta dai medici del SERT nel carcere, oltre ad essere rivolta alla prevenzione, cura e riabilitazione dei detenuti tossicodipendenti, dovrebbe essere rivolta anche a favorire il colloquio di questi soggetti, ormai privi di segni fisici di astinenza, con il personale dell’area sociale (per i programmi di reinserimento sociale e per una riabilitazione post-detentiva o per la concessione di misure alternative) e dell’area psicologica (per il contenimento del disagio psichico e per la formulazione di un progetto di recupero), ma non sempre accade.
Si tratta, pertanto, nell’area della salute psichica, di elaborare modalità nuove di trattamento e presa in carico che assicurino a questi detenuti, un vero percorso di riabilitazione e cura, nell’ottica di una sempre maggiore integrazione tra carcere e territorio in cui non sia discriminata la possibilità di cura, il luogo della cura e la qualità della stessa per il cittadino detenuto.

  • Qualche dato sul disagio psichico negli istituti di pena

Il tema dei disturbi psichici negli istituti di pena abbiamo appena visto essere un tema complesso e di difficile inquadramento. Tralasciando, in questo mio lavoro, i dati sugli internati negli (ex)25 Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), che sono attualmente in una fase di passaggio, dalla chiusura alla creazione di nuove strutture più adatte ad accogliere questo tipo di utenza, i dati reperibili a tal riguardo sono molto scarsi e frammentari, non essendoci dati aggiornati a copertura nazionale, ma solo stime indicative.
Anche se ormai si riferiscono a istituzioni superate o in fase di superamento, in uno studio condotto nel 2001 (quindi ormai ben 15 anni fa) e pubblicato nel 2003 da Vittorino Andreoli con il titolo “Anatomia degli O.P.G.”26, su 1282 internati27, il 37,3% soffriva di schizofrenia, il 23,9% di altri disturbi psicotici e il 14,8% di disturbi della personalità, mentre l’8,3% di ritardo mentale. Solo il 2,7% soffriva di disturbi dell’umore e solo il 2,2% di disturbi d’ansia (percentuali più elevate nei pazienti psichiatrici non detenuti). L’1,6% soffriva di disturbi correlati all’abuso di sostanze e il restante 10% rappresentava casi di diagnosi dubbia.
Per quanto riguarda invece i dati sulla popolazione detenuta negli istituti di pena, le ultime stime sostengono che sia 1 detenuto su 3 a soffrire di disagio psichico28, che su un totale di quasi 70 mila detenuti risultano essere circa 20 mila. Circa il 40% di loro soffrono di psicosi, depressione, disturbi bipolari e ansia, cui si aggiungono disturbi di personalità borderline e antisociale.
Nel 2014 Claudio Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria (Sip), durante una conferenza stampa alla Camera per fare il punto sul superamento degli O.P.G., diffondeva delle stime più accurate secondo le quali i detenuti con problemi psichiatrici erano il 16% (circa 10 mila su un totale di 64 mila detenuti). Nella stessa sede, ha citato inoltre, come esempio, la situazione della Regione Lombardia, dove, su 8650 detenuti, il 10,5% (circa 1000) è affetto da disturbi psichiatrici29.
Per quanto riguarda la situazione all’interno della Casa di reclusione di Milano Bollate, al momento sono disponibili solo i dati raccolti dall’Associazione Antigone per la Pubblicazione del report sulla situazione nelle carcere italiane. Dalla loro indagine, i detenuti con problemi psichiatrici a Bollate risultano il 20% del totale dei detenuti (cioè 218 detenuti), con due medici psichiatri che lavorano su quattro previsti. Nell’ultimo triennio (2013-2015) non si è verificato nessun caso di suicidio ma ci sono stati 60 episodi di autolesionismo e sono stati registrati 300 invii urgenti in ospedale. Nello stesso triennio, sono state 71 le aggressioni tra detenuti e 7 quelle verso il personale.

Esperienze, studi e progetti in carcere: una revisione della letteratura disponibile

Al momento di raccogliere materiale per la realizzazione di questo elaborato finale, mi sono concentrata su due argomenti principali: progetti (esistenti o meno, attivati o ipotizzati) sui detenuti con problemi psichiatrici, e progetti o esperienze di Interventi Assistiti con gli Animali.
Per quanto riguarda i progetti con i detenuti psichiatrici, ad oggi, sono ben poche le esperienze attuate, e si tratta di realtà molto circoscritte.
Tra gli studi quantitativi, troviamo uno studio promosso e portato avanti dall’Agenzia Regionale di Sanità (ARS)30 della Toscana, giunto alla seconda edizione, con l’obiettivo di prendere in esame tutti detenuti presenti nelle venti strutture di pena toscane, per effettuare una valutazione dello stato di salute dei detenuti e valutare i trattamenti farmacologici associati agli stati di malattia. La popolazione studiata è rappresentata da tutti i detenuti degli Istituti penitenziari della Toscana al 21 maggio 2012 (per un totale di 4.172 persone), e per ogni persona, in quattro mesi di tempo, è compilata una scheda di rilevazione dello stato di salute, che raccoglie, oltre ai dati socio-anagrafici, stili di vita potenzialmente determinanti di alcuni stati patologici (esempio, il consumo di sostanze), lo stato di salute della persona, eventuali trattamenti farmacologici ed eventuali atti di autolesionismo. Dai dati risulta che quasi il 30% degli intervistati risultano sani, mentre le principali patologie da cui risultano affetti i detenuti sono quelle psichiche al primo posto (con il 41% di incidenza), quelle dell’apparato digerente seguite da quelle infettive e parassitarie. Inoltre, rispetto alla prima valutazione svolta nel 2009 si è riscontrato un incremento dei disturbi mentali, dal 33,2% al 41%.
Nel 2006 è stato pubblicato sulla rivista NÓOς31, uno studio di rilevanza condotto nel Dipartimento di Scienze Sanitarie Applicate e Psicocomportamentali, Sezione di Psichiatria dell’Università di Pavia, che aveva lo scopo di definire la prevalenza dei disturbi mentali nella casa circondariale “Torre del Gallo” di Pavia e di descrivere i principali trattamenti psichiatrici forniti, attraverso uno studio descrittivo tramite osservazione, per una durata di 34 mesi. Ne è risultato che, su 1683 detenuti presenti, il 19% aveva uno o più disturbi mentali (escludendo i disturbi correlati a sostanze) dove, al primo posto, figuravano i disturbi di personalità (il 5,7). Dallo studio è stata rilevata inoltre comorbilità per disturbi correlati a sostanze per il 51,9% della popolazione. All’interno dell’istituzione i colloqui psichiatrici venivano erogati principalmente per psicosi e disturbi di personalità associati a disturbi dell’umore e risultarono frequenti le prescrizioni di farmaci neurolettici. In conclusione, lo studio ha dimostrato che la prevalenza dei disturbi mentali in questa popolazione è più elevata delle analoghe medie statunitensi ed europee e, per alcuni sottogruppi diagnostici, potrebbe essere tuttora sottostimata. Tutto questo porta, ancora una volta, a sostenere che la gestione psichiatrica in carcere dovrebbe essere riorganizzata secondo le linee-guida sanitarie nazionali ed europee, che esistono e sono presenti nell’ordinamento penitenziario, ma che raramente vengono attuate. Sullo stesso numero della rivista, alle pagine seguenti, è stato pubblicato un altro articolo che riporta uno studio compiuto dal DSM dell’AO San Paolo di Milano dal titolo “Un servizio di consulenza psichiatrica in ambito penitenziario. Quali bisogni, quali risposte?”, svolto sulla popolazione dei detenuti della Casa di Reclusione di Milano Opera, per un periodo di sei anni. Obiettivo dello studio è la definizione delle caratteristiche psicopatologiche di una popolazione e la descrizione dei più importanti trattamenti erogati nella prigione milanese. I risultati dello studio sono in linea con la letteratura internazionale rispetto ai bisogni assistenziali di tipo psichiatrico di questa popolazione, che molto spesso sono legati al disturbo di cui soffrono. In generale, il sottogruppo dei pazienti extracomunitari sembra avere una percentuale meno rilevante di diagnosi comorbili, mentre la diagnosi di disturbo psicotico è associata a detenzione per crimini violenti. Il carico assistenziale risulta più rilevante nei pazienti con disturbi psicotici e comorbilità (in particolare doppia diagnosi) e nei tentativi di suicidio, mentre è meno importante dal punto di vista del genere di appartenenza o del profilo del crimine commesso. Nel trattamento farmacologico le benzodiazepine e i nuovi antidepressivi sono prevalenti e la terapia antipsicotica è ancora ampiamente usata per il trattamento dell’insonnia. Dallo studio quindi, sebbene emerga che la prevalenza dei disturbi mentali tra detenuti è rilevante, risulta che la gestione dell’assistenza psichiatrica a queste persone da parte di un Dipartimento di Salute Mentale (come è stato fatto in questo caso) è stata fondamentale per migliorare sostanzialmente sia la qualità di vita di questi pazienti, sia la specificità dell’intervento.
Attualmente, è in corso un nuovo progetto, iniziato nel 2015, presso alcuni istituti di pena italiani, chiamato “MEDICS disagio mentale in carcere – Mentally Disturbed Inmates Care and Support”, a cura del DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) e cofinanziato dalla Commissione Europea. Il progetto, che parte dalla necessità di ottenere un quadro di informazioni chiaro e dettagliato sulla situazione dei detenuti italiani con disagio mentale, ha l’obiettivo di migliorare l’accoglienza, la presa in carico e il trattamento specifico di queste persone. Per questo progetto il DAP collabora con SIMSPE Onlus (Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria) e esperti del settore (sia psichiatrico che penitenziario) ed ha avviato il progetto in tre istituti pilota a Torino, Bologna e Palermo. Contemporaneamente, l’indagine è condotta in istituti penitenziari di altri paesi che partecipano al progetto (Inghilterra e Galles, Catalogna, Spagna, e Croazia), con l’obiettivo di creare spunti di riflessione e di confronto, sia sulla dimensione del fenomeno nei vari paesi partecipanti, sia rispetto le prassi adottate nei diversi contesti per gestire ed alleviare il disagio mentale. Il progetto termina quest’anno, ma ancora non sono disponibili i dati dello studio.
Tra la letteratura internazionale, è importante citare uno studio condotto da Fazel e Baillargeon (2011)32, in cui confrontano la prevalenza dei disordini mentali tra detenuti e popolazione generale. Dallo studio risulta che i detenuti (sia uomini che donne) hanno una prevalenza di malattie psichiatriche maggiore rispetto la popolazione comune (4% contro l’1%), posizionando al primo posto, in ordine di presenza, la diagnosi di Disturbo della Personalità (che nei detenuti, maschi e femmine, è del 65%, contro il 5-10% della popolazione dei non detenuti).
Per quanto riguarda le esperienze virtuose di trattamento dei detenuti con pazienti psichiatrici negli istituti italiani, sono due quelle da citare: quella del carcere di Bologna e quella che ha coinvolto i tre istituti milanesi di San Vittore, Opera e Bollate. All’interno dell’istituto penitenziario di Bologna, per l’assistenza psichiatrica vige una convenzione stipulata tra Amministrazione Penitenziaria e ASL. I medici convenzionati che lavorano sono quattro e sono presenti dal lunedì al sabato, per un totale di 240 ore mensili. Per l’assistenza dei pazienti è stato istituito un reparto psichiatrico, chiamato “il repartino”, che accoglie i detenuti (uomini) in osservazione psichiatrica, provenienti da tutte le carceri dell’Emilia Romagna, che, dopo il periodo di osservazione di 30 giorni, viene rimandato all’istituto di provenienza con una diagnosi e una terapia. Dai dati raccolti, l’amministrazione del carcere e i medici stessi hanno potuto constatare che, grazie a questo approccio di cura, è stata possibile una miglior terapia e una migliore presa in carico del paziente con esordi o acuzie di malattia psichiatrica.
L’esperienza milanese, invece, è quella che fa capo al Progetto, divenuto poi Servizio, “Sulla Soglia”, gestito dalla Cooperativa A&I. Il Servizio è nato nel 2005 per dare continuità terapeutica agli interventi di cura nei detenuti con malattie psichiatriche prossimi alle dimissioni, creando e favorendo il raccordo con i Servizi Sanitari psichiatrici del territorio. Dal 2008 il Servizio gestisce anche un Centro Diurno all’interno del Carcere di San Vittore e dal 2013 un Centro Diurno Riabilitativo all’interno del carcere di Opera. L’obiettivo generale del progetto è la messa a sistema di un modello di intervento globale che ponga in stretta relazione gli interventi per il trattamento dei detenuti con fragilità psichica interni ai tre istituti penali milanesi e la rete dei Servizi territoriali esterni, attraverso l’avvio di azioni specifiche volte a favorire il processo di inclusione sociale.
Nel triennio 2009-2011 il servizio “Sulla soglia” ha avuto un volume di presa in carico pari a circa 120 utenti l’anno. Dall’analisi della tipologia delle persone che hanno usufruito del progetto, si evidenziano una quota del 56% di interventi a favore di soggetti con patologia psichiatrica diagnosticata. Dai dati raccolti e dalla esperienza maturata, si fa sempre più necessaria l’impostazione della cura secondo un modello multidisciplinare che preveda percorsi integrati clinico-sociali in grado di accompagnare la persona fin dal suo ingresso nel mondo del carcere.
Per quanto riguarda invece esperienze di Interventi Assistiti nelle Carceri, leggendo su internet si trovano vari progetti di “pet-therapy” e interventi Assistiti con i cani organizzati all’interno degli istituti di pena, sia in ambito internazionale che in ambito italiano.
Soffermandoci sulle esperienze italiane, dal 2000 un educatore cinofilo teneva dei corsi cinofili all’interno dell’ex O.P.G dell’Emilia Romagna, avvalendosi della collaborazione dei suoi tre cani33. Su questa scia, sono stati molti i progetti realizzati nelle carceri italiane: il progetto organizzato nel 2015 dall’Associazione Maith Onlus di Alessandria per i detenuti con problemi psichiatrici del Carcere di San Vittore34; i casi degli istituti di Pontedecimo (Genova) e Verona, dove i Direttori hanno autorizzato l’ingresso dei cani di alcuni detenuti durante i colloqui; o, ancora, il progetto “Cani dentro e fuori” a Bollate, che nel 2015 offriva ai detenuti un corso di formazione per diventare dog-sitter, fino ad arrivare ad un progetto recentissimo, ancora in fase di avvio, al carcere di Foggia. Qui, grazie alla collaborazione con il Gruppo Cinofilo Dauno, da aprile 10 detenuti avranno la possibilità di partecipare ad un progetto di IAA della durata di un anno, durante il quale saranno impegnati in varie attività con i cani35.
Per quanto riguarda invece la presenza di cavalli in carcere, oltre all’esperienza di Bollate, è possibile trovare qualche progetto simile all’estero, in particolare in alcune carceri degli U.S.A. (a Florence, in Arizona36 e a Reno, nel Nevada), dove però i detenuti non partecipano ad attività di tipo riabilitative ed educative ma preparano i cavalli, prima con la doma e poi con l’addestramento, per la vendita all’esterno del carcere.
Non sono presenti, né in letteratura, né in articoli o reportage, esperienze importanti come quella esistente all’interno del carcere di Bollate e gestita dall’Associazione Salto Oltre il Muro (d’ora in poi, ASOM).
Questa esperienza, a mio avviso davvero straordinaria, merita che venga riconosciuta all’interno degli IAA come realtà unica nel suo genere e ricca di potenzialità. Per questo, nelle pagine seguenti presenterò la realtà del progetto “Cavalli e carcere” e cercherò di pensare a delle possibili implementazioni del progetto iniziale.

CAPITOLO 2: il progetto e la realtà di “Cavalli in carcere”

Il progetto “Cavalli in carcere” è attivo, all’interno della casa di reclusione di Bollate, dal 2007, organizzato da ASOM e gestito dal fondatore e presidente Claudio Villa.
Qui, nella scuderia costruita e gestita dai detenuti, secondo le esigenze etologiche dei cavalli, sono ospitati ad oggi venti cavalli, la maggior parte dei quali sono stati portati in salvo da situazioni di maltrattamento e sofferenza, cavalli a fine carriera salvati dal macello, e cavalli in pensione che si godono serenamente gli anni di fine attività. La scuderia infatti è, prima di qualsiasi altra cosa, un luogo dove si offre una seconda chance, sia ai detenuti che ai cavalli stessi.
I cavalli hanno infatti la possibilità di vivere in ampi paddock esterni dove possono stare tra di loro, senza trascorrere o finire la loro vita dentro dei box chiusi, e i detenuti hanno l’opportunità di imparare a relazionarsi con un altro essere vivente e creare le basi per quella riabilitazione sociale tanto importante per un detenuto. Infatti, chi più degli animali, e dei cavalli in questo caso, spinge a sviluppare l’empatia, la capacità di osservazione e di ascolto, la capacità di autocontrollo e di autogestione?
Come si legge sul sito del progetto37 “ASOM si avvale dell’ausilio del cavallo come soggetto relazionale […] il modello rieducativo di ASOM conferma il valore delle Attività Assistite con gli Animali (AAA) tramite il forte impatto emotivo che il cavallo ha sulla popolazione carceraria che se ne prende cura. Lavorare con un animale di mole così imponente, infatti, obbliga ad un comportamento che necessariamente deve abbassare difese ed aggressività e trovare una via di comunicazione non verbale che porti al rispetto reciproco.”
Secondo l’impostazione del progetto, infatti, non solo è prevista l’attività di gestione e cura del cavallo, ma sono anche organizzati periodicamente dei corsi di formazione per Artiere, grazie ai quali i detenuti che vi partecipano possono acquisire delle competenze spendibili all’esterno e utili per cercare un lavoro e iniziare il lungo percorso del reinserimento sociale una volta usciti dal carcere. L’impostazione organizzativa del progetto e della scuderia è possibile riassumerla in questo schema, in cui è ben visibile la reciprocità degli interventi e delle attività svolte.

Senza-titolo-4Senza-titolo-3A tutti gli effetti, la realtà del progetto “Cavalli in carcere” può essere considerata una realtà di IAA con i cavalli, che se inserisce nella Riabilitazione Equestre, soprattutto per lo step finale (e più difficile da portare avanti) della riabilitazione sociale e della reintegrazione nella società.
Sperimentando ed imparando ad entrare in relazione con il cavallo, che richiede un grosso e profondo lavoro su se stessi, sulle proprie rigidità e fragilità, le persone detenute imparano modalità, tempi, sensibilità necessari per entrare in contatto con altre persone, che è la base di ogni attività e del vivere sociale quotidiano.
Quello che i cavalli donano e trasmettono ai detenuti (e a tutte le persone che entrano in relazione con loro) sono delle vere e proprie lezioni di vita, utilissime per affrontare la vota di tutti i giorni.

  • I detenuti che vi lavorano

I detenuti accedono alla scuderia su candidatura volontaria, così come volontaria è la permanenza all’interno del progetto e alla partecipazione della vita della scuderia.
Quella dei cavalli è una realtà che affascina molti detenuti, tutti uomini (anche se il progetto è aperto anche alle donne), molti dei quali però non riescono a sostenere l’impegno preso. In scuderia, infatti, c’è molto passaggio di persone che si propongono come volontari ma dopo qualche giorno di esperienza pratica mollano. Il fatto di partecipare al progetto infatti richiede costanza, responsabilità, impegno ed attenzione, capacità di mettersi in gioco e in discussione, voglia di imparare e di lavorare, e non tutti (anzi, per la verità pochi) dei detenuti che si candidano non riescono a sostenere con serietà l’impegno preso. Di ogni nuovo gruppo di volontari che si propongono per lavorare in scuderia, solitamente abbandona l’80% dei componenti. Per questo c’è molto ricambio e passaggio di persone e detenuti, anche se alcuni di loro sono ormai affezionati alla scuderia e ai cavalli e sono alcuni anni che partecipano alle attività.
I detenuti che chiedono di partecipare sono misti, non è possibile avere un profilo tipo del detenuto: alcuni di loro sono stranieri (provenienti da paesi dell’Est Europa soprattutto), alcuni provengono dal 7° reparto, altri ancora sono persone che prima del carcere lavoravano come agricoltori; alcuni sono in cura presso il SerT per problemi legati al consumo di sostanze, mentre altri hanno dei disturbi psichiatrici. Non è possibile quindi definire il profilo del detenuto che chiede di partecipare alle attività, perché le caratteristiche sono molto variegate, l’importante è la candidatura volontaria e la voglia di sperimentarsi

  • Le attività in scuderia

Le attività in scuderia iniziano la mattina presto, con la prima distribuzione di fieno ai cavalli intorno alle 7 di mattina. Durante la giornata poi si procede alla pulizia e al grooming dei cavalli, alla pulizia delle stalle e della scuderia e allo studio del comportamento e della natura del cavallo, che prende sempre spunto dall’osservazione di ciò che il cavallo fa durante la sua giornata e durante la vita di branco. Tutte le attività che si svolgono in scuderia sono improntate allo scopo primo e ultimo del rapporto con i cavalli e con gli animali in generale: entrare e costruire una relazione con l’altro che abbiamo di fronte. Tutte le azioni e le attività da svolgere sono quindi indirizzate in quest’ottica, dalla gestione del cavallo da terra, dalla conduzione con la longhina, alla pulizia e cura fino alla monta dolce per i detenuti più esperti e più “veterani” all’interno del progetto.
Qualsiasi attività si svolga in scuderia è fondamentale stare attenti a quello che fa il cavallo, a ciò che comunica e a come lo fa, perché solo così è possibile capire quali sono le sue esigenze e i suoi bisogni e le modalità più corrette per entrare in relazione con loro.
Una volta imparato ad osservare e capire ciò che il cavallo vuole dire, sarà più facile impostare una relazione di rispetto e fiducia reciproca e, una volta superato questo step, sarà più facile traslare le competenze acquisiti con i cavalli anche nelle relazioni e nei contesti umani, dove la capacità di empatia è sempre al primo posto tra le competenze sociali utili da acquisire.

  • Pregi e limiti della realtà Cavalli in Carcere

La realtà qui presentata è, senza dubbio, una realtà veramente virtuosa e unica nel suo genere. I pregi e le potenzialità di questa esperienza sono molti, sia per i detenuti che per i cavalli e il loro benessere.
I cavalli infatti, nella scuderia di ASOM, riscoprono il vero “essere cavalli”: hanno la possibilità di vivere in branco, stare a contatto con i loro simili, creare quelle interazioni sociali e relazioni tra loro che abitualmente sono, se non proprio negate, ma difficili da creare nei maneggi e nelle scuderie tradizionali.
Per i detenuti, poi, la presenza dei cavalli è un’ottima opportunità che offre diversi gradi di aiuto per le loro situazioni personali: infatti, l’impegno preso per la cura dei cavalli rappresenta per loro (o almeno, per chi, di loro, decide di restare) un forte motivo che li spinge ad uscire dalla loro cella, dando uno scopo alla loro giornata. Non solo: andando in scuderia hanno la possibilità di acquisire nuove conoscenze e confrontarsi con persone diverse da quelle che vedono abitualmente all’interno del reparto. In ultimo, la relazione forte, profonda e sincera che alcuni riescono ad instaurare con i cavalli è un ottimo punto di partenza per intraprendere un percorso di ascolto, conoscenza e comprensione di se stessi (che parte dall’ascolto, dalla comprensione e dalla conoscenza dell’altro, in questo caso dei cavalli) necessario per far sì che gli anni di detenzione abbiano davvero quel fine rieducativo tanto rincorso ma raramente raggiunto.
Sicuramente, la presenza dei cavalli di ASOM in carcere aumentano la qualità della vita di un detenuto, soprattutto di coloro che sono anni che ormai si prendono cura di questi animali e sono riusciti ad instaurare con loro una bella relazione di fiducia.
Purtroppo, questa realtà, sebbene molto importante, non è sufficientemente considerata dall’amministrazione del carcere, che infatti non la considera inserita né nell’area trattamentale, né nell’area educativa, né in quella sanitaria. Purtroppo, infatti, l’équipe del personale socio-sanitario che segue i detenuti nel loro percorso detentivo, sebbene a conoscenza dell’esistenza della scuderia, non ha mai visitato la struttura e non ha mai partecipato all’attività, nemmeno per osservare come i detenuti da loro presi in carico vivono e affrontano l’impegno e il lavoro in scuderia. Le persone civili che lavorano in scuderia infatti prestano il loro lavoro volontariamente, nessuna di loro è dipendente dell’amministrazione penitenziaria, tranne il poliziotto penitenziario che è presente tutti i giorni con la funzione di supervisionare durante la presenza dei detenuti.
Inoltre, un altro grosso limite di questa esperienza, è che, nonostante sia molto positiva, non sono mai stati raccolti dati qualitativi o quantitativi che ne dimostrino la bontà, sia per la salute e il benessere dei cavalli che ci vivono, sia per il benessere e la qualità della vita dei detenuti che la frequentano.
Infine, un grosso limite, che grava su tutta la realtà, è la mancanza di fondi e di risorse che l’Associazione si trova ad affrontare ormai da qualche tempo. Infatti, a parte qualche finanziamento agli inizi del progetto, da ormai qualche anno l’amministrazione penitenziaria non devolve nessun tipo di finanziamento né riconoscimento economico al progetto “Cavalli in carcere”, che resiste grazie alle donazioni di privati all’Associazione ASOM e alla grossa fortuna di poter contare sul lavoro volontario delle persone che gestiscono il progetto, in primis il signor Villa, che è presente tutti i giorni tutto il giorno in scuderia in maniera assolutamente gratuita.

  • Ipotesi di implementazione del progetto

Arrivata a questo punto, mi piacerebbe unire tutte le informazioni fin qui raccolte, sia sulla situazione reale della scuderia, sia sulla situazione attuale dei detenuti, in particolare dei detenuti con disagio psichico, per proporre un progetto di implementazione della realtà esistente, che tenga conto soprattutto dei limiti attualmente presenti per cercare di superarli.
Innanzitutto, secondo me, il primo passo fondamentale è creare un collegamento se non proprio una rete tra il mondo della scuderia e il mondo degli operatori che si occupano del progetto riabilitativo e rieducativo del detenuto. È tragicamente impressionante quanto gli educatori, gli psicologi e gli psichiatri che seguono il detenuto in carcere non sappiano quello che lo stesso detenuto fa all’interno della scuderia e non siano mai andati a conoscere questa realtà che è un fiore all’occhiello per l’istituzione. In questo modo, si potrebbe far rientrare il lavoro in scuderia come parte integrante del progetto riabilitativo e rieducativo di ogni detenuto, stabilendo anche quali obiettivi debba raggiungere frequentando la scuderia, su quali aree lavorare e quali aspetti rafforzare avvalendosi della presenza degli animali, che, come ormai è risaputo, sono un ottimo tramite per stimolare il cambiamento in una persona. Inoltre, come abbiamo visto nel capitolo 1, potrebbe essere l’inizio di una nuova esperienza, unica nel suo genere, di avvio di percorsi di riabilitazione equestre nelle carceri, per i detenuti in generale e/o per i detenuti con disagio psichico o problemi legati alla tossicodipendenza. Se, infatti, nella realtà esterna ormai quasi abitualmente vengono attivati progetti di riabilitazione equestre per persone con problemi psichiatrici, perché non sfruttare una realtà già presente e ben avviata in carcere per aiutare questa parte di popolazione? Sarebbe inoltre molto interessante, una volta avviato un eventuale progetto di questo tipo, abbinare uno studio valutativo (di tipo sperimentale o no) sull’efficacia di questo intervento che, come ho già ripetuto più volte, sarebbe l’unico nel suo genere.
Comunque, aldilà della valutazione di un possibile progetto sperimentale di riabilitazione equestre, credo sia molto importante e potrebbe essere molto utile un’analisi e una valutazione di tipo qualitativa del lavoro finora svolto da ASOM all’interno del carcere, che aiuti a raccogliere dati più precisi sul beneficio che questa attività comporta per i detenuti che ne fanno parte.
Non solo potrebbe essere un primo passo per portare a conoscenza, anche nell’ambito degli addetti ai lavori, di una realtà unica, ma anche, e forse soprattutto, per favorire il collegamento tra amministrazione penitenziaria e ASOM, che sappia valorizzare in pieno la ricchezza e le potenzialità che questa realtà porta all’interno del carcere.
Un’altra strada percorribile, anche in parallelo, è quella degli studi sul benessere dei cavalli. Per chi ha una minima esperienza di scuderie e maneggi “tradizionali”, entrando e visitando la scuderia di ASOM si rende immediatamente conto della differenza: innanzitutto la struttura della scuderia è costruita in modo che i box dei cavalli siano il più possibile aperti e comunicanti tra loro, con anche box “doppi” e “tripli” in cui ricoverare due o anche tre cavalli insieme. Ma l’aspetto più sorprendente è rimanere ad osservare le dinamiche interne al branco quando i cavalli sono liberi nel paddock, dinamiche che molto raramente si possono osservare in altri maneggi38. Sarebbe molto interessante riuscire a definire in modo più preciso i benefici che questa gestione etologica dei cavalli ha sui cavalli stessi, dando valore e peso scientifico a ciò che si osserva quotidianamente.
Del resto, recentemente stanno aumentando gli studi che dimostrano quanto detto. Per esempio, uno studio condotto nel 2015 in una università del Texas (pubblicato su cavallo magazine), misurando i livelli di corticosterone di soggetti in varie situazioni e in diversi livelli di isolamento, ha dimostrato che l’isolamento e la segregazione (anche in box) producono stress nei cavalli, che sono animali sociali ed hanno bisogno di vivere a contatto con i loro simili.
Le realtà che potrebbero testimoniare quanto appena sostenuto sono molte, quasi ogni cavallo presente in scuderia ha avuto nel tempo dei benefici, ma vorrei che a parlare fossero le fotografie di Verdi, cavallo sequestrato da puledro nel 2011 perché maltrattato, e oggi uno degli elementi più forti (e curioso) del branco.

tesi progetti cavalli carcere
Verdi al suo arrivo in scuderia
tesi progetti cavalli carcere
Verdi oggi

CONCLUSIONI

Leggendo un articolo molto bello di Alessia Giovannini sui cavalli del carcere, ho trovato questa citazione, che trovo perfetta per concludere questo lavoro:
“Trattate una persona come se fosse essenzialmente cattiva e la de-umanizzerete. Ma se facciamo nostro il punto di vista che ogni essere umano ha in sé qualcosa di buono, anche se questo fosse solo lo 0,1%, e poi ci concentriamo su questa parte buona, lo umanizzeremo. Riconoscendo, curando e premiando la sua parte buona gli consentiremo di crescere come un fiore nel deserto” (Peter Lipton, filosofo).
È in questa direzione che è necessario indirizzare tutti i nostri sforzi, ed è in questa direzione che operano anche gli Interventi Assistiti con gli Animali: trovare la parte “buona”, la parte “funzionante”, la parte “positiva” in ogni persona e lavorare per svilupparla e per permetterle di cambiare in meglio la vita delle persone che per svariati motivi (fisici, psichici, sociali) si trovano in situazioni di disagio e di fragilità.
Del resto, la nostra società, individualista e orientata al successo, dimentica e mette in secondo piano chi si trova in situazioni svantaggiose, e ciò non riguarda solamente le persone, ma anche gli animali. È importante invece credere nella riabilitazione, rieducazione e recupero di ogni soggetto, rispettando i tempi e le modalità di ciascuno, per ripristinare il re-inserimento e l’utilità sociale che è insita in ogni soggetto.
Questo è lo scopo ultimo di tutte le attività sociali, terapeutiche, psicologiche, riabilitative. Questo è il fine primo e ultimo delle Attività Assistite con gli Animali e questo è ciò che si può osservare da vicino e toccare con mano nella realtà della scuderia in carcere.
Al termine di questa mia esperienza, mi sento di consigliare a ciascuna persona una visita a questa realtà: non solo Claudio Villa e i detenuti sono molto contenti di accogliere visitatori, ma è, parafrasando le parole dell’articolo della Giovannini, un “balsamo per l’anima”.

BIBLIOGRAFIA

Alecci P., Carrà G., Dal Canton F., Giacobone C., Lusignani G., Pozzi F., “Disturbi mentali in una casa circondariale: uno studio di prevalenza”, in NÓOς n. 1 “Psichiatria e carcere”, 2006, pagg. 23-34

Andreoli, V. “Anatomia degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: una ricerca per un progetto”, Roma 4 febbraio 2003

Astarita L., “Le modalità dell’assistenza psichiatrica nel carcere di Bologna“, 2006 per Associazione “A buon diritto. Associazione per le libertà”

Balbi G., “Infermità di mente e pericolosità sociale tra OPG e REMS“, relazione tenuta presso la Scuola Superiore della Magistratura, per l’incontro di studi “Le misure di sicurezza personali“, Scandicci, 5 giugno 2015

Bertolotti Ricotti P., Candotti S., Clerici M., D’Urso N., Marasco M., Scarone S., “Un servizio di consulenza psichiatrica in ambito penitenziario. Quali bisogni, quali risposte?” in NÓOς n. 1 “Psichiatria e carcere”, 2006, pagg. 35-58

Cavallo magazine “Box tradizionali? cavallo depresso: meglio stare in compagnia” del 19 marzo 2015

Citterio N. D., “Il cavallo come strumento nella rieducazione dei disturbi motori“, Mursia Editore

Fadda, L. “Disagio psichico e condizione carceraria“, pubblicato sulla rivista “La magistratura”, luglio/dicembre 2009

Fazel S e Baillergon J, “The health of prisoners”, 2011, pubblicato sulla rivista online Lancet, n. 19 novembre 2010 (consultabile su www.caritasitaliana.it/materiali)

Giovannini A, “Cavalli in carcere, una terapia dell’anima“, Cavallo 2000, 31 marzo 2016

Hutchinson, J., “Equine Assisted Psychotherapy: Horses are still helping us today.” manoscritto inedito, 2009 Pioneer Pacific College.

Liberman R. P., (a cura di) “La riabilitazione psichiatrica”, Raffaello Cortina, 1997

Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM)

Mastrobuoni G., Terlizzese D., ” Rehabilitating Rehabilitation: Prison Conditions and Recidivism” EIEF (Einaudi Institute for Economics and Finance) Working Paper 13/14, novembre 2014

Pini V., “Carceri: l’allarme degli psichiatri: un detenuto su 3 soffre di malattie mentali“, Repubblica.it, 12 aprile 2013

Ponti G., Merzagora I. “Psichiatria e giustizia“, Raffaello Cortina, 1993

Vaccaro A. G., “Libertà, autonomia, indipendenza. Indicazioni e prassi per gli operatori della riabilitazione psico-sociale” Franco Angeli, 2011

Voller F., “La psichiatria tra vecchie e nuove frontiere“, intervento durante Giornate pisane di psichiatria e psicofarmacologia clinica, Pisa, 14 giugno 2013

NORMATIVE E ORDINAMENTO LEGISLATIVO

Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati

Circolare del 19 giugno 2012, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per la diffusione delle “Linee di indirizzo per la riduzione del rischio auto lesivo e suicidario in ambito carcerario”

Codice Penale italiano

Costituzione della Repubblica Italiana, 27 dicembre 1947

Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali“, Consiglio d’Europa, Roma, 4 novembre 1950

Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo“, Nazioni Unite, 10 dicembre 1948, New York

Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà“, Gazzetta Ufficiale n. 195, 22 agosto 2000 – Supplemento ordinario

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 1° aprile 2008 “Modalità e criteri per il trasferimento al SSN delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria“, Gazzetta Ufficiale n 126, 30 maggio 2008

Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230 “Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419“, Gazzetta Ufficiale il 16 luglio 1999, n. 165

Legge del 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà“, Gazzetta Ufficiale il 9 agosto 1975, n. 212 Supplemento Ordinario.

Legge n. 81 del 31 maggio 2014 “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari“, Gazzetta Ufficiale 31 maggio 2014

Patto internazionale sui diritti civili e politici“, Nazioni Unite, 19 dicembre 1966, New York

Regole Minime dell’ONU per il trattamento dei detenuti“, Nazioni Unite, 30 agosto 1955

Regole Minime del Consiglio d’Europa per il trattamento dei detenuti“, 19 gennaio 1973 e successiva “Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli stati membri sulle Regole penitenziarie europee” adottate dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006

SITOGRAFIA

www.associazioneantigone.it sito dell’Associazione Antigone, che si occupa dagli anni ’80 di promuovere i diritti e le garanzie nel sistema penale

www.carceredibollate.it sito ufficiale istituzionale della casa di reclusione di Bollate

www.cavallincarcere.it sito ufficiale del progetto “Cavalli in carcere” dell’Associazione ASOM

www.cooperativaestia.com sito della Cooperativa Estia, attiva all’interno del carcere di Bollate per attività con i detenuti, in particolare per le rappresentazioni teatrali

www.giustizia.it sito ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia

www.maith.it sito dell’Associazione Maith Onlus che si occupa di IAA in vari contesti

www.ristretti.org sito che raccoglie materiale e documenti sulla condizione dei detenuti nelle carceri

NOTE

1 Disagio psichico e condizione carceraria pubblicato su “La magistratura”, luglio/dicembre 2009  

2 L’Ordinamento penitenziario italiano aderisce, inoltre, alla “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (Nazioni Unite, 10 dicembre 1948, NY), alla “Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo” (Roma, 4 novembre 1950) e al “Patto internazionale sui diritti civili e politici” (Nazioni Unite, 19 dicembre 1966). Inoltre recepisce le “Regole Minime dell’ONU per il trattamento dei detenuti” del 30 agosto 1955, e le “Regole Minime del Consiglio d’Europa per il trattamento dei detenuti“, del 19 gennaio 1973.

3 Artt. 59-63 l. 354/75  

4 Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 – Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà. Pubblicato su Gazzetta Ufficiale n. 195, 22 agosto 2000 – Supplemento ordinario

5 Informazioni derivanti dall’osservatorio dell’associazione “Antigone- per i diritti e le garanzie nel sistema penale”, nata alla fine degli anni ’80 e reperite sul sito internet dell’Associazione www.associazioneantigone.it

6 www.carceredibollate.it alla sezione l’istituzione/vision e mission  

7 Per maggiori informazioni www.cooperativaestia.com

8 Dato dal Ministero di Grazia e Giustizia

9 Totale detenuti lombardi al 31/03/2016: 6.132. Totale detenuti italiani al 31/03/2016: 53.495 (dati Ministero di Grazia e Giustizia)

10 L’art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario disciplina la possibilità per i detenuti di svolgere lavoro esterno al carcere, ma anche frequentare corsi di formazione professionale o prestare attività volontaria e gratuita all’esterno, e anche per l0assistenza all’esterno di figli minori di dieci anni. Non possono usufruire dei benefici dell’art. 21 i detenuti per il delitto di associazione di stampo mafioso. Per tutti gli altri detenuti, il lavoro esterno è proposto dal Direttore dell’istituto e approvato dal Magistrato di Sorveglianza.

11 www.associazioneantigone.it/osservatorio/rapportoonline/lombardia/bollate_new.htm  

12 Disciplinate dalla normativa penitenziaria, in particolare artt. 13, 15, 82 Legge 354 del 1975 e dall’art. 27 DPR 230 del 2000  

13 All’interno dell’Istituto è attivo un SerT che eroga prestazioni psico-socio-sanitarie ai detenuti con problemi di dipendenza. Il servizio è aperto dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 16 e l’accesso avviene tramite auto segnalazione o segnalazione da parte del personale (amministrativo, medico o competente).

14 SST (gestione di un call center); Cascina Bollate (vivicoltura, vivaio, serra); Coop. ESTIA (falegnameria e teatro) Coop. ABC (servizio catering) Coop. Alice (laboratorio sartoriale) Bee4 (assemblaggio componenti) Angel Service (stampa grafica su tshirt) Arte in Tasca (creazione bigiotteria) Zerografica (copisteria, rilegatura)  

15 Artt. 17, 18, 20, 23 del Regolamento penitenziario

16 Legge del 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà“, pubb. in Gazzetta Ufficiale il 9 agosto 1975, n. 212 Supplemento Ordinario.

17 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 1° aprile 2008 “Modalità e criteri per il trasferimento al SSN delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria“, pubblicato in gazzetta Ufficiale n 126, 30 maggio 2008

18 Capo III del Regolamento esecutivo dell’Ordinamento Penitenziario, emanato con D.P,R del 30 giugno 2000, n. 230 “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà” pubblicato in gazzetta Ufficiale il 22 agosto 2000, n. 195  

19 Art 23 D.P.R. n. 230 del 2000

20 Artt. 27 e 28 D.P.R. n. 230 del 2000

21 La ratio di queste disposizioni è da far risalire all’art. 27 della Costituzione, per cui le pene non possono essere trattamenti contrari al senso di umanità

22 Artt. 146 e 147 del codice penale

23 Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230 “Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5 della legge 30 novembre 1998, n. 419“, pubblicato in gazzetta Ufficiale il 16 luglio 1999, n. 165  

24 Con una Circolare del 19 giugno 2012 emanata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sono state diffuse le “Linee di indirizzo per la riduzione del rischio auto lesivo e suicidario in ambito carcerario”  

25 Con la legge n. 81 del 31 maggio 2014 “Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari” si rende necessario superare l’esistenza di luoghi che, per impostazione, sono di fatto dei manicomi criminali.

26 V. Andreoli “Anatomia degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari: una ricerca per un progetto”, promossa dall’Ufficio Studi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e presentata in un convegno a Roma il 4 febbraio 2003.

27 Numero che, sul numero totale dei detenuti al 2002, rappresentano appena l’1,95%.

28 Da un articolo di Valeria Pini, comparso su Repubblica.it il 12 aprile 2013, in occasione del convegno “La psichiatria, tra pratica clinica e responsabilità professionale” tenutasi dai Giovani Psichiatri a Roma

29 Articolo di Ansa condiviso su ristretti.org  

30 Dati presentati durante le Giornate pisane di psichiatria e psicofarmacologia clinica, intitolate “La psichiatria tra vecchie e nuove frontiere”, Pisa 14 giugno 2013. Intervento di Fabio Voller, Dirigente dell’Osservatorio di Epidemiologia dell’Agenzia regionale di Sanità della Toscana

31 Rivista quadrimestrale che si occupa di psichiatria. L’articolo in questione, dal titolo “Disturbi mentali in una casa circondariale: uno studio di prevalenza”, è stato pubblicato sul numero 1 del 2006, pag. 23-34, ed è consultabile al link http://www.e-noos.it/rivista/1_06/pdf/2.pdf  

32 Fazel S e Baillergon J, “The health of prisoners”, 2011, pubblicato sulla rivista online Lancet e consultabile su www.caritasitaliana.it/materiali  

33 Articolo pubblicato il 5 marzo 2010 su superabile.it

34 Articoli disponibili su www.tuttozampe.com e www.maith.it

35 Il progetto è stato presentato il 6 aprile 2016 presso la Direzione Enci di Foggia  

36 Per un approfondimento sul lavoro dei detenuti in Arizona a rimando al link seguente, che riporta un reportage con delle bellissime fotografie su quanto avviene in carcere http://mashable.com/2016/03/04/arizona-prison-horses/#HtH_vpLbSkqw  

37 www.cavallincarcere.it  

38 Del resto, recentemente stanno aumentando gli studi che dimostrano quanto detto. Per esempio, uno studio condotto nel 2015 in una università del Texas (pubblicato su cavallo magazine), misurando i livelli di corticosterone di soggetti in varie situazioni e in diversi livelli di isolamento, ha dimostrato che l’isolamento e la segregazione (anche in box) producono stress nei cavalli, che sono animali sociali ed hanno bisogno di vivere a contatto con i loro simili.  

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here