Hoarding Disorder (Accumulo Patologico) o Disposofobia (fobia del gettare via) appartengono a un quadro clinico caratterizzato dalla tendenza ad acquisire un gran numero di oggetti spesso del tutto inutili e dalla incapacità di liberarsene. La difficoltà di liberarsi degli oggetti indica qualsiasi forma di smaltimento fra cui buttare via, vendere, dare via o riciclare (APA, 2013).

Questa tendenza ad accumulare oggetti, in genere di scarso o senza alcun valore, limita fortemente l’uso degli spazi domestici e conduce a livelli significativi di disagio e compromissione del funzionamento quotidiano, tanto in coloro che ne soffrono quanto nei loro familiari.

Ma cosa si tende ad accumulare? Di tutto tra cui giornali, pubblicità, libri, sacchetti di carta, plastica, chiodi e viti, utensili, soprammobili e altri oggetti vecchi e spesso in pessime condizioni, oggetti deteriorati e a volte in pessime condizioni igieniche. A volte si comincia ispirandosi al vecchio adagio che tutto può tornare utile.

Quando pensiamo al Disturbo da Accumulo ci vengono facilmente in mente persone ai margini della società, estreme nei comportamenti problematici, ma possono essere anche persone considerate normali. A volte il disturbo da accumulo si riscontra in comorbilitá con una varietà di disturbi psichiatrici, fra cui il disturbo ossessivo-compulsivo, la schizofrenia e la demenza.

Il Disturbo da Accumulo è stato recentemente riconosciuto nella 5° edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders quale categoria diagnostica a sé e disturbo autonomo (APA, 2013); risulta inserito all’interno della macrocategoria dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi e Disturbi correlati. Secondo l’attuale concettualizzazione il Disturbo da Accumulo è caratterizzato da:

  1. Persistente difficoltà di gettare via o separarsi dai propri beni, a prescindere dal loro valore reale.
  2. Questa difficoltà è dovuta a un bisogno percepito di conservare gli oggetti e al disagio associato al gettarli via.
  3. La difficoltà di gettare via i propri beni produce un accaparramento che congestiona e ingombra gli spazi vitali e ne compromette sostanzialmente l’uso previsto. Se gli spazi vitali sono sgombri, è solo grazie all’intervento di terze parti (per es. familiari, addetti alle pulizie, autorità).
  4. L’accumulo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti (incluso il mantenimento di un ambiente sicuro per sé e per gli altri).
  5. L’accumulo non è attribuibile a un’altra condizione medica.
  6. L’accumulo non è meglio giustificato dai sintomi di un altro disturbo mentale.

Studi condotti in ambito neuropsicologico ed elettrofisiologico hanno, a tale proposito, evidenziato come in soggetti affetti da Disturbo da Accumulo siano presenti deficit di categorizzazione, memoria di lavoro, decision making, attenzione e processamento degli errori. Sembrerebbero, quindi, essere deficitarie soprattutto le funzioni esecutive (Mackin et al., 2011).

Il Disturbo da Accumulo appare associato, non solo ad altri disturbi mentali, ma anche a una maggior incidenza di problemi fisici quali diabete, apnee notturne, artriti, disturbi ematici e cardiovascolari. È stato ipotizzato che tali complicanze mediche potrebbero essere legate alla scarsa cura di sé e alla bassa tendenza, da parte di coloro che ne soffrono, a richiedere visite mediche e specialistiche. (Ayers, 2014).

Da un’attenta analisi della letteratura sull’argomento, gli autori hanno individuato quattro motivazioni che più frequentemente vengono riportate da coloro che soffrono di Disturbo da Accumulo:

  • Attaccamento emotivo agli oggetti
  • Preoccupazione ed evitamento degli sprechi
  • Motivazioni estetiche
  • Contenuto informativo dell’oggetto (come quotidiani, riviste etc.)

Sulla base di un recente articolo pubblicato da Kress et al. (2016), che mira a fare il punto della situazione in termini di diagnosi e trattamento del Disturbo da Accumulo, la terapia cognitivo-comportamentale è considerata il trattamento d’elezione.

Studi precedenti che hanno esplorato l’efficacia della CBT per pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo, hanno riscontrato che la presenza di sintomi di accumulo risultava un consistente predittore di drop-out, scarsi risultati terapeutici e minimi guadagni clinici se confrontata con l’assenza di tali comportamenti (Mataix-Cols et al., 2002; Steketee & Frost, 2003). Questi risultati hanno condotto alla messa a punto di protocolli specifici per il trattamento del Disturbo da Accumulo, con particolare attenzione alle credenze tipiche di questi pazienti e ai comportamenti correlati all’accumulo, al disagio emotivo, all’evitamento con esso connesso e al potenziale deficit di processamento delle informazioni (Steketee, Frost, 2007; Tolin et al., 2007).

L’attuale trattamento cognitivo-comportamentale del Disturbo da Accumulo si focalizza principalmente sulla riduzione dei sintomi in tre macro aree: la disorganizzazione, la difficoltà nel gettare via gli oggetti personali e la tendenza ad acquisirne in eccesso.

Nello specifico, il trattamento si avvale di:

  1. Skill training finalizzato a rinforzare le capacità di problem-solving,decision making e di organizzazione;
  2. Esposizione graduale, immaginativa e in vivo, agli stimoli stressanti(Esposizione con evitamento della risposta, ERP), ovvero noncomprare e buttare oggetti;
  3. Ristrutturazione cognitiva delle credenze irrazionali correlate aicomportamenti di accumulo.

In aggiunta, la bassa consapevolezza frequentemente associata al Disturbo da Accumulo ha portato a ipotizzare l’utilità di avvalersi, in aggiunta ai già citati interventi, di tecniche motivazionali e dell’ausilio di visite domiciliari (Stekenee et al., 2010).

Gli interventi motivazionali si pongono come obiettivo la riduzione dell’ambivalenza di fronte alla scelta di intraprendere o meno un trattamento, aiutando il paziente a individuare le aree di maggiore compromissione a causa dei comportamenti di accumulo e che vorrebbero ridurre (ad es. la compromissione sociale legata all’impossibilità di invitare a casa familiari o amici o i problemi economici legati all’acquisizione compulsiva). In merito alle visite domiciliari, Steketee e Frost (2007) hanno messo a punto uno specifico protocollo, della durata di 26 settimane, che prevede visite al domicilio e sul luogo di lavoro da parte di operatori sociali.

Ancora, più di recente sono stati proposti gruppi a impostazione comportamentale condotti da pari, insieme agli operatori sociali. L’obiettivo è la riduzione dello stigma associato al Disturbo da Accumulo e la possibilità di fornire un maggiore supporto ai pazienti rispetto ai gruppi condotti unicamente da operatori della salute mentale (Frost, Ruby, Shuer, 2012).

FONTE: STATE OF MIND Il Giornale delle Scienze Psicologiche

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