Disturbo da accumulo compulsivo: cosa c’è alla base?

Il programma tv di Real Time “Sepolti in casa” ha fatto conoscere a molta gente l’esistenza degli “hoarders”, ovvero persone affette da un disturbo da accumulo compulsivo. Gli hoarders sono individui che faticano a disfarsi delle proprie cose, anche di quelle inutili (giornali, vestiti vecchi, cibo scaduto, oggetti rotti, sacchetti di plastica) e le accumulano in cassetti, armadi, stanze, solai, corridoi, riducendo sempre più il loro spazio vitale e spesso anche quello dei loro familiari. Da dove deriva questo disturbo?

Uno studio diretto da David Tolin della Yale University School of Medicine, ha ipotizzato che il disturbo da accumulo compulsivo non derivi da un incontrollabile desiderio di possesso, ma abbia piuttosto basi neuronali. I risultati delle scansioni cerebrali hanno infatti riscontrato anomalie nel funzionamento della corteccia cingolata anteriore e dell’insula mediale e anteriore, adibita alla valutazione del rischio, dell’importanza degli stimoli e delle decisioni emotivamente cariche. Gli hoarders, secondo Tolin e i suoi collaboratori, avrebbero dunque una ridotta capacità nel prendere decisioni e una marcata paura di prendere la decisione sbagliata, rischiando di perdere qualcosa di importante. Una scelta sbagliata, a loro parere, comporterebbe dunque un pericolo di gravità nettamente maggiore di quello reale. Molto spesso i soggetti affetti da disturbo di accumulo compulsivo non riconoscono la gravità del loro disturbo. La scarsa consapevolezza li conduce, infatti, a non percepire il loro comportamento come disfunzionale e quindi a non chiedere aiuto.

Affinché si possa superare tale problema, è necessario il riconoscimento del disturbo da parte del soggetto e l’inizio di un trattamento psicoterapico, se necessario, associato a un trattamento farmacologico. Risultati efficaci sono stati infatti ottenuti dalla terapia cognitivo-comportamentale e si è visto che i SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, riducono nettamente i sintomi negativi, associati al disturbo.

Fonte: The Journal of the American Medical Association

 

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