Noi umani condividiamo con gli altri animali le lacrime “di base” (quelle che umidificano la cornea) e quelle “di riflesso” (emesse per difendersi da un corpo estraneo che entra negli occhi) e forse anche quelle che derivano da sentimenti ed emozioni.

Non si piange solo per tristezza: esistono le lacrime di gioia, quelle di rabbia, quelle di orgoglio di un genitore, quelle di commozione, di delusione o di trionfo. Eppure nonostante caratterizzino parecchi dei momenti più importanti della nostra vita (basti pensare alla nascita di un figlio, al matrimonio, a un lutto), delle lacrime umane non si sa molto. Per lo meno dal punto di vista scientifico. Tanto che per Frederik Van der Ween (Università di Rotterdam), tra i pochi ricercatori a occuparsene, il pianto è forse l’unica manifestazione emotiva a non ricevere grandi attenzioni dagli scienziati.

La domanda principale, quella alla quale le ultime ricerche stanno finalmente trovando una risposta, è: a che cosa serve il pianto emotivo? Finora, era popolare la teoria che faccia star meglio. L’idea che le lacrime servano a emettere composti chimici o a liberarci di ormoni dello stress dandoci sollievo risale addirittura ad Aristotele, che considerava queste secrezioni alla stregua delle urine. La scoperta, avvenuta negli anni ’80 del secolo scorso, che nelle lacrime emotive c’è una maggior quantità di proteine rispetto alla lacrime prodotte di continuo per l’umidificazione dell’occhio, ha dato voce a questa ipotesi. Ma successive analisi non hanno notato grandi differenze, come ha verificato Ad Vingerhoets, neuroscienziato dell’Università di Tilburg, nei Paesi Bassi. Come per tutti i liquidi corporei, la composizione delle lacrime dipende da quella del sangue, ed è per questo che è leggermente diversa da persona a persona e può essere differente a seconda dei momenti della giornata. Tanto più che un pianto medio produce appena 1 o 2 millilitri di lacrime, troppo poco per depurare l’organismo e dare sollievo.

Allora, perché molta gente dichiara di sentirsi meglio? L’equipe di Lauren Bylsma, psichiatra dell’Università di Pittsburg (USA), nell’Agosto scorso ha probabilmente svelato il mistero una volta per tutte. Ha paragonato la reazione di persone che si commuovono guardando un film strappalacrime e quella di chi resta più freddo: ha misurato il loro umore (lo si fa con appositi questionari psicologici), in quattro diversi momenti: prima, subito dopo, passati 20 minuti e poi 90 minuti dalla visione di una pellicola. Il film prescelto è stato “La vita è bella” di Roberto Benigni (per la cronaca: il 40% degli spettatori, spiati da una telecamera fissa sui loro occhi, aveva pianto); l’umore di entrambi i gruppi (lacrimatori e non) era peggiore non appena finito il film, ma molto migliorato dopo una ventina di minuti e ancora di più dopo 90. Bylsma ha così concluso che è la risalita veloce dell’umore che si ha dopo che qualcosa ci intristisce a dare la sensazione di star meglio. Tant’è vero che in questo studio avevano provato sollievo tutti, non solo coloro che avevano pianto. Non sono le lacrime di per sé, insomma, a dare beneficio, ma lo sbalzo (e il rimbalzo) di umore.

Ci sono altri scienziati che sottolineano una funzione molto più importante delle lacrime, fondamentali non tanto per chi piange, ma soprattutto per chi osserva un individuo che ha gli occhi umidi. Il pianto umano, del resto, è molto antico. Secondo gli antropologi, infatti, si è evoluto tra i primi ominidi: le lacrime versate a causa di un’irritazione degli occhi, con il tempo, sarebbero diventate un segnale del bisogno di aiuto. “Quando gli occhi vengono feriti e lacrimano, gli altri individui si prendono cura di chi è stato colpito. Così il pianto è diventato un segnale per attrarre le cure”, sostiene Robert Provine, neuroscienziato dell’università del Maryland (USA). In altre parole, le lacrime sono divenute la spia della presenza di una ferita, che sia fisica o psicologica. Un segnale silenzioso, tipico di una specie (la nostra) che comunica in gran parte guardando gli altri individui negli occhi. E il fatto che si pianga anche in solitudine non contraddice, per gli studiosi, l’ipotesi che le lacrime siano soprattutto comunicative. Anche in quei casi, infatti, il pubblico c’è, solo che è immaginario.

Il pianto è un segnale potente: la vista di due guance umide provoca una risposta emotiva immediata in chi osserva. É stato provato all’università di Tilburg con due diversi esperimenti: sono stati mostrati a un gruppo di volontari i visi di persone tristi con e senza lacrime (i volti erano gli stessi e le lacrime erano state aggiunge col fotoritocco), verificando così che coloro che le osservavano consideravano più bisognosi di aiuto gli individui che lacrimavano. Nel secondo esperimento, sono state mescolate, alle foto di persone tristi, altre che ritraevano visi dall’espressione neutra, con e senza lacrime. Anche questa volta, sono state giudicate più “da aiutare” le persone con i volti solcati da lacrime, anche se la loro espressione non era triste. “Ma il particolare più importante è che abbiamo presentato ciascuna di queste immagini per appena 50 millisecondi, un tempo troppo limitato perché chi le vedeva potesse “ragionarci sopra”, il che dimostra che alla vista delle lacrime altrui la risposta del nostro cervello è immediata”, aggiunge Vingerhoets. Di più: le lacrime riescono a sopprimere l’istintiva repulsione che può suscitare una persona gravemente ferita. Dennis Kuester dell’università di Brema, in Germania, ha mostrato ad alcuni volontari immagini del viso di persone ferite, con e senza lacrime, e ha misurato l’attenzione del loro muscolo elevatore del labbro, che genera la tipica espressione di raccapriccio, del tutto istintiva di fronte a immagini scioccanti. Quando le lacrime erano presenti, il muscolo di muoveva meno e per lo studioso ciò dimostra che siamo più propensi ad avvicinare, per aiutarla, una persona che piange, rispetto a un ferito che non versa lacrime. Secondo gli scienziati, le guance umide sono un segnale così forte anche perché esprimono emozioni difficili da simulare (perfino gli attori più bravi ricorrono spesso a trucchi vari) e del resto è complicato pure ricacciarle indietro. Per non scoppiare in singhiozzi in pubblico, però, qualche metodo esiste: bisogna innanzitutto concentrarsi sulla respirazione, premere la lingua sul palato o contro i denti, stringere in mano qualcosa molto vigorosamente in modo che la tensione“distragga”.

Inoltre si può provare a girare continuamente lo sguardo da sopra a sotto, da destra a sinistra (il movimento del globo oculare nell’orbita contribuisce a non far traboccare la lacrime), ma ovviamente quest’ultimo sistema si può usare solo se non si viene osservati.
Ma davvero è meglio non lasciarsi andare ai sentimenti? Le ultime ricerche dimostrano che chi piange in pubblico è ritenuto non solo competente, ma anche simpatico e amico del prossimo, purché la ragione delle lacrime sia davvero importante. Basti pensare alla simpatia generata dalle guance umide di Obama nel Gennaio scorso, durante il discorso in favore della limitazione al libero acquisto delle armi in USA (vendita alla base di diverse stragi delle scuole). L’ennesima dimostrazione che piangere… fa bene.

Fonte: Focus (mensile)

 

Photo credit: antoniofurno via Foter.com / CC BY-NC
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